I pensieri dell'Altrove
08.06.2014 - 09:09
La palazzina crollata in Via De Amicis
Scendo, dal mio paese a 630 metri dal livello del mare, almeno un paio di volte a settimana in città. Qualche volta mi è capitato di andarci anche tre volte al giorno, per motivi seri e diversi; qualche volta per andare a vedere un film, ad incontrare le amiche, a comprare i pigiami, i sacchetti di ricambio per l'aspirapolvere, a fare la fila in qualche ufficio, a festeggiare in un ristorante qualche compleanno. Altre volte perché in città c'è l'ospedale e i medici specialisti, lì trovi quell'apparato sanitario che ti dà la dimensione delle grandi malattie e le grandi cure, non più circoscritte nell'ambito della tua camera da letto col tuo amico medico di famiglia, ma con gli 'accertamenti', gli esami tecnici, i referti protocollati, i camici bianchi. Ad essere proprio volutamente sincera, a me Foggia non piace, non mi piace il centro (?), non mi piace il diffuso senso di scortesia, non mi fa impazzire nessun negozio, e a partire da questo mese, quando sto per arrivare ed esco dalla superstrada, dando uno sguardo alla periferia mi pare di fotografare solo un pugno disordinato di case buttate sciattamente in mezzo ad una manciata di spighe di grano. Insomma, non mi piace ma me la faccio piacere, è la mia, la nostra città di riferimento e nonostante i quatto/ cinque gradi fissi di differenza di temperatura e la strada infelicemente tortuosa, bucherellata e franosa che devo fare prima di arrivare in pianura, quando sono lì il tempo mi passa veloce fra il traffico, i fogliettini con le commissioni scritte per non dimenticare e un caffè o un gelato (con panna) preso con delle persone con cui sto bene, seduti fuori dai bar facendo finta, con quell'aria un po' beota da vacanza, che ti trovi sul lungomare glamour della costa azzurra. Ci sono stata, l'ultima volta, proprio martedì tre giugno, giorno in cui l'aria di Foggia era particolarmente pesante, opprimente. Qualche ora prima era crollata parte di una palazzina, nel crollo sono morte due persone, due giovani genitori che, non per loro colpa, hanno lasciato in una orfanità precoce e ingiustissima una creatura di tre anni appena. Andavo in giro per le mie faccende e ovunque era un bisbigliare sgomento, un senso di scomposto disagio, io stessa mi sentivo in imbarazzo nel provare la maglietta nuova se mi fermavo a ricordare l'immagine di Salvatore, voglio chiamarlo per nome, steso su una barella con i soccorritori intorno e con la sua immensa, tragica paura dentro. Perché? Questa è la rituale domanda, tanto inutile quanto piena di una misericordia penosa e improduttiva. Di crolli dovuti a fughe di gas, o per cedimenti strutturali la cronaca ne è piena. Per incuria, per ignoranza, per incompetenze omicide, raccontiamo vicende contando i morti come i mattoni che cadono, ma quello che mi inquieta è che in un mondo in cui, per esempio, con google map troviamo la strada, il giardino con il cane che abbaia e la porta e il numero civico della casa di chiunque, parallelamente scopriamo che i controlli più elementari per salvaguardare la Vita sono scadenti, omissivi, addirittura inesistenti. Quando si chiedono, per far valere i nostri diritti, è come pietire, quando arrivano le tragedie, però, ci sono i lutti cittadini, quasi sempre i funerali solenni, il cordoglio ufficiale. E la pietà si trasforma in stanca indignazione. Nessun processo, nessuna sentenza, nessuna croce addosso a nessuno, la croce più dolorosa e crudele, per il momento, è tutta sulle tenere spalle di Salvatore. Dovrà riscrivere la sua storia, dovrà consegnarsi ad altre mani, respirare altre braccia, guardare altri soffitti, fare a botte con i brutti sogni, abituarsi alle assenze, curare le sue mancanze. E' tutto troppo, è osceno, scandaloso, non so ancora se per disgraziata fatalità o imperdonabile sottovalutazione. Quello che so è che non ci sarà più nessuna differenza, per il cuore di Salvatore, fra una puzza di gas sentita nel lettone caldo e quel buio polveroso e feroce che ti toglie per tutta la vita le prime ed uniche certezze che ci vengono date da questa stessa, indecodificabile vita.
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