30.03.2013 - 16:09
Un professore di filosofia sale in cattedra e, prima di iniziare la lezione, toglie dalla cartella un grande foglio bianco con una piccola macchia d’inchiostro nel mezzo. Rivolto agli studenti domanda: «Che cosa vedete qui?». «Una macchia d’inchiostro», risponde qualcuno. «Bene», continua il professore, «così sono gli uomini: vedono soltanto le macchie, anche le più piccole, e non il grande e stupendo foglio bianco che è la vita». Basterebbe questa metafora del brillante giornalista e scrittore italiano Vittorio Buttafava, scomparso nel 1983, a spiegare una delle più profonde verità enunciate da Schopenhauer: «Ognuno - scriveva il filosofo tedesco – prende i limiti del suo campo visivo dei confini del mondo». Oltre che restrizione di spazi fisici, come può accadere per un carcerato, per tutti la privazione peggiore è quella delle possibilità che non riusciamo a darci: il limite che impedisce ad ognuno di noi di essere veramente libero. Per questo il mondo può apparirci una insofferente gabbia. La Pasqua, cioè il passaggio, che possiamo augurarci, cristiani e non, è quello della fuga oltre le sbarre dell’indifferenza, dell’egoismo, della soggezione, del dolore e della sofferenza che scegliamo come reclusi o carcerieri. Ma le sbarre più temibili, contro cui corriamo il rischio di battere quotidianamente la testa, sono croci piantate lungo i sentieri dei nostri pregiudizi, spinate delimitazioni erette a recinto delle limitanti convinzioni che dettano il battito dei nostri giorni, dimentichi che la libertà, quella vera, sussurrava Matt Damon in “Will Hunting”, «è il diritto dell’anima di respirare».
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