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Apparizioni e sparizioni tra arte e storia: il caso del Castello dei Conti Guidi a Poppi e della bella Matelda

Apparizioni e sparizioni tra arte e storia: il caso del Castello dei Conti Guidi a Poppi e della bella Matelda

Il castello di Poppi, luogo delle apparizioni

È notizia di questi giorni e – come fatto di cronaca – spopola sui quotidiani e rimbalza sul web. Dalla chiesa della Madonna della Mercede a Palermo, ogni sera, tra le arcate della torre campanaria, spunta una sagoma di donna in abiti monacali. Appare dunque a fedeli e curiosi che da qualche settimana accorrono nel popoloso quartiere del Capo per vedere il fantasma della Mercede. Per qualcuno è segno tangibile di un messaggio alla curia siciliana, affinché riapra la deliziosa chiesetta, da troppo tempo chiusa. Qualcuno si è persino arrampicato sulla svettante torre e affacciandosi tra le campane in bronzo ha cercato traccia di quella donna con veste nera, cuffietta e bavero bianco. E sì, si veste così la “signora” che si sporge tutte le sere dalla balaustra “con le mani giunte e assorta in preghiera”, commentano in molti. Sempre secondo il volgo, si tratterebbe di una suora cappuccina le cui spoglie mortali riposerebbero nella cripta sotto la chiesa, lì dove anni prima fu ritrovata anche una necropoli paleocristiana, divenuta nel ʼ600 fossa comune per le religiose. Altri invece fanno allusioni più pesanti e riconoscono in quella sagoma sfocata, addirittura Santa Rita, in barba a quanti – più scettici ovvio – vedrebbero solo macchie e intonaco scrostato.

Ma il fascino di queste presenze da sempre incuriosisce l’uomo che, paradossalmente, cerca segni tangibili dell’ ineffabile. E nella nostra Penisola tante sono le storie di fantasmi o presunti tali, che popolano borghi, manieri e antichi castelli. E tra queste ce ne è una che merita di essere raccontata innanzitutto per l’ambientazione davvero suggestiva.

Siamo nel Casentino e precisamente nel castello di Poppi, è qui che succedono cose a dir poco strane. Una leggenda popolare racconta infatti di una donna che si aggira nelle notti di luna piena sul camminamento della fortezza e si affaccia dalla merlatura della principale torre del castello detta appunto “dei Diavoli”.

Ma la storia della rocca e di questo fantasma si legano indissolubilmente, perché Matelda (così si chiama la fantasmessa) fu moglie di uno dei Conti Guidi. Ma il castello sotto il governo del conte Simone di Battifolle fu edificato, nel suo nucleo originario, dall'architetto Lapo di Cambio, in forme che assomigliano decisamente a quelle del più noto Palazzo Vecchio di Firenze, realizzato da un altro di Cambio, più famoso, che faceva Arnolfo di nome; e affrescato da Taddeo Gaddi, allievo di Giotto nella prima metà del ʼ300 con la raffigurazione di sei scene sacre, stilisticamente vicine alle Storie di Isacco della Basilica Superiore di Assisi. Il castello di Poppi è citato  persino dal Vasari nelle celebri "Vite", e per alcuni storici potrebbe considerarsi un prototipo del palazzo di piazza della Signoria. Proprio a questi anni risale un episodio singolare che riguarda sempre la vita del maniero ed è legata a Dante Alighieri che vi soggiornò tra il 1307 e il 1311 e che, tradizione vuole, abbia scritto proprio a Poppi il XXXIII canto dell’Inferno. La sua presenza sarebbe confortata dal fatto che il sommo poeta abbia preso parte in prima persona alla celeberrima battaglia di Campaldino, combattuta tra Guelfi e Ghibellini, in una landa poco distante dalla dimora dei Conti Guidi.

E non finiscono qui le meraviglie del castello che, al suo interno, ospita la Biblioteca Rilliana, una raccolta libraria di eccezionale valore. Il nucleo principale è costituito da manoscritti, incunaboli (tra le quali alcuni rarissimi esemplari a stampa del XV sec. tra i quali figurano molte edizioni aldine provenienti dalla notissima tipografia veneziana di Aldo Manunzio) e altre pubblicazioni dei secoli XVI-XVIII. La Biblioteca Rilliana infatti conserva tesori di grande interesse e tra i suoi 25.000 volumi spicca un nucleo di oltre 700 incunaboli, una delle maggiori raccolte italiane di esemplari a stampa del ʼ400.  Il nome “rilliana” è dovuto al conte Fabrizio Rilli Orsini che nel 1825 donò la sua raccolta libraria alla comunità di Poppi. La biblioteca si accrebbe poi nel 1866 quando, dopo le leggi eversive,  all’antica nucleo si aggiunsero anche le librerie del sacro Eremo di Camaldoli e quelle dei Cappuccini di Poppi.

Ma torniamo alla nostra fantasmessa e alla sua storia. L’ultimo restauro rinascimentale del castello di Poppi, cambiò per sempre il volto del feudo medievale trasformandolo in fogge decisamente moderne, con la sala d’armi, il chiostro e le due torri: quella del Leone e quella del Diavolo appunto, che come dicevamo all’inizio, è il luogo delle “apparizioni”. Matelda detta anche Telda andò in sposa proprio ad uno dei Conti Guidi, con la formula molto diffusa nel medioevo (ma ancora in uso non molto tempo fa in Italia) del matrimonio combinato. Alla bella del paese, toccò un uomo molto più anziano di lei, spesso impegnato in missioni d’armi per conto della famiglia che – in quegli anni – dominò la scena fiorentina partecipando in prima fila alla presa di Firenze del 1260.

Matelda, procace e – secondo quanto riportato dalle fonti – molto vogliosa, mal digeriva le assenze dell’anziano marito e la poca prestanza fisica dello stesso (capisc’ a me…). Allora si racconta che la “castellana” per dar sfogo ai suoi istinti, invitava nei suoi appartamenti giovani e prestanti popolani che, una volta sedotti, venivano poi invitati a lasciare il palazzo da una uscita molto speciale. A prima vista, infatti, sembrava un cunicolo che celasse alla vista dei cortigiani i misfatti della donna, in realtà era un pozzo che terminava (in base alla leggenda) con delle lame affilate e i fascinosi pretendenti anziché darsela a gambe finivano con le stesse tagliate oltre che con il cuore… davvero a pezzi.

Soprattutto i menestrelli sembra che raccogliessero i maggiori consensi a corte, e Telda voleva che questi gliene “cantassero” sia durante i banchetti che nella sua alcova segreta. Finché trattavasi di artisti girovaghi e forestieri, il giochetto di Telda continuò indisturbato, ma quella strana penuria di “bei gnocchi” in paese dava parecchio da parlare e, complice l’ennesima battagli che vedeva impegnato il valoroso conte Guidi, il popolo si ribellò. Una folla inferocita assalì la rocca e catturò la contessa, rinchiudendola poi in una stanza della Torre dei Diavoli, dove fu lasciata morire di fame e di sete, come recita una filastrocca fiorentina.

E da quella torre dove finì i suoi giorni la bella Telda, ancor oggi ella farebbe capolino a cercare prede per la sua bramosia d’amore, trovando poi purtroppo ad attenderla non più avvenenti spasimanti pronti ad immolarsi per giacere con lei, ma solo folle assiepate di curiosi e giornalisti, aspiranti gostbuster.

 

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Francesca Di Gioia

Francesca Di Gioia

Francesca Di Gioia è docente di Arte Sacra e Beni Culturali del territorio presso la Facoltà Teologica Pugliese di Foggia. Si è laureata cum laude in Conservazione dei Beni Culturali presso l’Istituto di Magistero "Suor Orsola Benincasa" di Napoli. Si è specializzata in incisione presso l'Istituto Nazionale per la Grafica di Roma e si occupa di Grafica d'Arte. E' giornalista pubblicista, collabora dal 2005 con il settimanale "Voce di Popolo". Ha conseguito il Diploma in Biblioteconomia presso la Scuola della Biblioteca Apostolica Vaticana ed è Operatore Didattico dei Musei Vaticani. Ha pubblicato "Invenit, delineavit et sculpsit. Per un approccio alle Arti Grafiche" per i tipi delle Edizioni Il Castello e "Vissi d'arte. Cinque anni di penna appassionata" con le Edizioni del Rosone.

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