Profeti e Sibille
19.10.2014 - 10:43
La maschera di Dante
Al 37° capitolo del libro best seller di Dan Brown "Inferno" si narrano le vicende dell'investigatore smemorato Robert Longdon che accompagnato dalla sedicente infermiera inglese Sienna, si ritrova a Palazzo Vecchio. Dopo aver visto il Salone dei Cinquecento mentre ammira lo Studiolo di Francesco I, viene riconosciuto da Anna, una custode del Palazzo, che lo invita a visitare un ambiente chiuso al pubblico ma noto all'americano: un pertugio che si inerpica dietro all'affresco con la Battaglia di Marciano dipinto da Giorgio Vasari. Longdon l'aveva già attraversato - a detta dell'inserviente - ma la sua amnesia non gli permetteva di ricordare. La galleria segreta portava diritta ad una stanza nella quale, in una teca, si conservava una maschera mortuaria: il calco funebre di Dante Alighieri. Attorno a questo oggetto si dipanano gli ultimi capitoli del romanzo e gli avvincenti episodi narrati da Brown.
Oggi è possibile ammirare la maschera detta di 'Kirkup' dal nome del Barone che l’ha posseduta, nella Casa museo dedicata a Dante, nel quartiere di Firenze abitato per secoli dalla famiglia Alighieri al Borgo di Santa Croce. Il museo occupa un'alta torre, la Torre dei Giuochi, e da marzo di quest'anno la Società Dantesca Italiana ha donato al museo fiorentino la maschera che riprodurrebbe l’impronta funebre scolpita per mano di Tullio Lombardo sulla tomba ravennate (di questa esiste un’altra copia denominata “Torrigiani” donata nel 1865 agli Uffizi dal marchese Carlo Torrigiani e conservata al Museo del Bargello). Per vedere dunque il becco puntuto e il naso aquilino del sommo poeta, grazie all'impresa filantropica dei soci, basta recarsi al museo fiorentino a lui dedicato e ripercorrere a ritroso i momenti salienti della sua vita attraverso un avvincente percorso espositivo.
Nell'occasione poi facendo solo qualche passo tra i vicoli della città del giglio, si può portare un pensiero all'amata Beatrice Portinari le cui spoglie mortali forse giacciono nell’elegante saccello del padre Folco Portinari nella chiesa di Santa Margherita dei Cerchi (per alcuni studiosi invece dovrebbe riposare in Santa Croce dove si trova la cappella della famiglia del consorte de’ Bardi). Qui l'amore dell'Alighieri per la sua musa paradisiaca, è divenuto meta di un vero e proprio pellegrinaggio sentimentale. Sono in tanti infatti a portare sul suo presunto sepolcro, lettere accorate che testimoniano di cuori infranti e amori mai corrisposti, agognando dunque l'intercessione della bella Bice per sanare le dolci ferite. Dopotutto come dice Dante stesso nel canto V dell'Inferno: "amor che nulla amato amar perdona". Versi che a Dan Brown passarono sottaciuti perché poco funzionali ai fini della trama dell'appassionante giallo ma, a noi inguaribili romantici, risuonano sempre come ispiratori di bei pensieri amorosi.
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