Storie e Geografie
21.04.2013 - 09:46
Una foto del centro storico di Foggia
Mi trovavo una sera nel centro storico, da solo, di ritorno da una serata con gli amici senza altro senso che quello di tirare tardi. Passando per la stradina lastricata vicino la cattedrale, chiusa sotto un cielo di mattoni, mi sembrava che questa parte della città fosse un posto forse unico al mondo.
Forse proprio per tutte quelle favole che ricamano intorno alla città sotterranea, che corre sotto le strade buttate al sole. Forse perché dal fondo di quelle strade in perenne ombra c'è qualcosa di strano che ogni tanto sale, cavalcando il vapore notturno.
Passeggiavo fra i viottoli che si alternavano nel buio, dietro via Arpi –unica parentesi di strada ben illuminata– buttando un occhio al cielo stellato sulla mia testa e immaginando le volte delle strade di sotto, coperte dai pavimenti delle case soprastanti.
Come un viaggiatore che per strada coglie dai cespugli che incontra sul suo cammino, una mora, un mirtillo, per gustarli qualche passo più in là, così io raccoglievo flebili testimonianze di vita -un rumore di stoviglie, un grido di bambino, una discussione familiare- e le rimuginavo dopo aver ormai girato l'angolo o abbandonato una piazzetta.
Così, imboccata via Le Maestre, camminavo guardandomi intorno, attento ad ogni rumore nelle strade deserte e silenziose e avevo quasi l'impressione che tutta la città si fosse nascosta dietro qualche angolo, come quei bambini che, staccatisi dai genitori durante una passeggiata, si appostano in improbabili quanto innocui agguati.
Mi trovai di fianco, all'improvviso, una figura. Non capivo da dove potesse essere uscita né perché si fosse avvicinata disturbando la serena solitudine della mia passeggiata notturna.
<Sono morto nel 1240> mi disse con calma. Io avanzavo, sentendo solo i miei passi e aspettavo che continuasse.
<Di dove sei?> mi chiese
<Sono di qui. Di Foggia, uno come tanti> quasi mi vergognavo di non essere un personaggio altrettanto interessante.
<Sei del regno, come me! - esclamò contento - io sono di Benevento; ero salito perché l'imperatore aveva bisogno di soldati … >
<Sei morto in battaglia allora!> I cavalieri, gli eserciti, i re in lotta fra loro per la conquista di mondi da costruire. Il mondo dei miei giovanili entusiasmi. Lo avevo sempre raffigurato in modo epico e anche questa volta mi lasciai prendere la mano da sogni antichi. Ma mi risvegliai, questa volta, immediatamente. Il personaggio che avevo davanti, specchio di un'epoca visitata in innumerevoli viaggi nel tempo, mi restituiva un'immagine totalmente diversa.
<Magari! - diventò triste, stava quasi per piangere - Un marinaio di qua mi gridò che quelli di Terra di Lavoro puzzano come le loro capre. Che vuoi fare, io non li sopporto quelli di Foggia. Gli ho tirato una coltellata ma avevo il fratello alle spalle. - si interruppe, sembrava che stesse per dire qualcosa di poetico, mi aggrappai istintivamente alle sue labbra, pronto a registrare una perla di saggezza ormai perduta. Ebbi quello che mi meritai.- Non mi sono mai fatto i fatti miei.> aggiunse semplicemente.
Arrivato nello spiazzo del vecchio mercato lo guardai meglio. Aveva la barba incolta, il viso segnato dalla fatica e dalla fame. Le tracce della rassegnazione e della cattiveria, praticata e subita. Non se la passavano bene a quei tempi, soprattutto quelli come lui.
<Ma dimmi - riprese - com'è adesso Benevento? Eh, quanti anni sono passati; tre, quattro, e chi se lo ricorda. Qui non cambia mai niente, mai una novità.>
Attraverso i suoi occhi Foggia era rimasta la stessa. Forse il suo spirito non si era mai allontanato dai paraggi. Eppure anche questa zona era cambiata di molto rispetto ai tempi ai quali diceva di appartenere. Il pavimento di Via Arpi risaliva a metà ottocento; non c’era illuminazione se non le torce che ognuno portava con se; le case che mi circondavano erano state erette dopo il terremoto che nel 1731 aveva cancellato il borgo.
Non era la zona, erano i suoi occhi. Questo povero spirito non si accorgeva di quello che lo circondava e che, nel frattempo, era cambiato profondamente. Come fargli capire tutto questo? E poi, pensavo, era giusto farlo?
<Adesso è grande e potente - mentii spudoratamente, non ero mai stato a Benevento - pensa, hanno fatto altre mura attorno ai sobborghi e hanno chiamato uno da fuori per la nuova cattedrale, fra un po’ sarà finita.>
<E frate Rainolfo? Come sta frate Rainolfo?>
Non avevo il coraggio di dirgli la verità, si vedeva che aveva tanta voglia di parlare. È brutto stare soli.
<É diventato abate - risposi - ora va sempre a Roma...>
L'uomo si rabbuiò: <Lo sapevo. Frate Rainolfo è morto prima che io partissi. Tu sei un bravo figlio, hai il cuore buono e le bugie ti si leggono in faccia. Qui vedo un sacco di gente: Svevi, Angli, Franchi, tutti vestiti strani, come te. Qui non è cambiato niente, ma si vede che fuori le cose sono diverse. Bhe! Io sono arrivato. - si fermò di fronte alla chiesetta di via Ricciardi- Grazie della chiacchierata. Io sono sepolto qui, sotto il pavimento. Non lo sa nessuno, non c'è neanche 'na lapide. - mi mise una mano sulla spalla, non so come ma la sentii, calda e forte, come se non fosse stata quella di un ombra ma la mano di un amico gentile e affettuoso - Guagliò stammi a sentire, mi devi fare un favore>
<Se posso volentieri> mi bruciava ancora di averlo deluso e volevo rimediare.
<Se passi dalle mie parti vai sotto le mura a nord e cerca la madre di Tito, il vasaio. Dille che stò in salute e che non si preoccupasse, che ho fatto fortuna.- mi guardò con un'aria di bonario rimprovero - E non fartelo scoprire che dici la bugia, sennò quella si spaventa e chissà che si crede!>
<Aspetta, non andare! - lo supplicai - ho ancora cinque minuti!> volevo parlare, ora ero io a sentirmi solo.
<E figurati, cinque minuti! Io ho l'eternità! Ma a parlare coi vivi divento triste. Non mi dire scostumato ma è meglio che vado. Addio. E non farti accoltellare fuori casa - mi gridò entrando - E' brutto morire in terra straniera!>
Terra straniera. A Foggia. Ripresi a camminare fra i vicoli antichi pensando al povero Tito.
Strana è la città dove il tempo si ferma anche per i morti.
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