I pensieri dell'Altrove
15.02.2015 - 11:37
Serve un caffè doppio stamattina per tutti gli innamorati, o per tutti quelli che ieri sera hanno completato i riti liturgici della seratona canora e canterina. Una settimana in piena scia di festeggiamenti benedetti e ricordati da San Valentino e da San Remo: cioccolatini, regali e cuori rossi i promoters per il primo; note, abiti che fanno intravedere seni in caduta libera senza paracadute, e poi rossetti, tacchi a spillo e business per l'altro. Si ha voglia di frivolezze, di immaginazione, di estraniarsi da una quotidiana informazione fatta di criticità, di drammi, di disperazioni personali e collettive. Si ha voglia di condividere un evento televisivo che ormai appartiene al nostro familiare senso nazional-popolare, vedere tutti insieme è stare metaforicamente tutti in una grande stanza e sentirsi parte di un progetto prodotto da altri, che fa la fortuna di alcuni, ma che viene cucinato per noi, tutti fratelli e sorelle d'Italia. Non per fare la snob, ma a me annoia. Ed è dai tempi de 'l'erba di casa mia' o 'la spada nel cuore' che ho perso ogni curiosità e non lo vedo. Forse perché ai tempi del mio interesse una rivista dedicata ai giovani regalava un libricino con tutti i testi delle canzoni, quasi a volerci suggerire una partecipazione attiva, corale, e a volerci sedurre con l'invito alla canzone di gruppo che all'epoca comunque era molto praticata. Il problema è che i palinsesti televisivi, anche quelli della concorrenza, sono sotto sequestro di san Remo, quindi anche trasversalmente arriva il fruscio del glamour e dei dibattiti lassù in riviera. Ma sembra tutto finto, tutto poco credibile, dalla riesumata 'felicità' di Romina ed Albano, allo spudorato nero corvino dei capelli del patriarca di Cellino, dalle luci che rendono bellissima anche chi non lo è, alle tonnellate di maquillage che viene spalmato equamente sulla faccia di Conti e sull'ultimo pelo della barba sbarbata di Platinette. San Remo sta alla canzone come San Valentino al ciondolino di strass, ma è domenica ed entrambe le kermesse sentimental/televisive si sono tecnicamente concluse. Restano i numeri auditel, e i numeri dei baci (di cioccolato) venduti, le molte pizze indigeste mangiate con gli amori sbagliati e le poesie con la commozione incorporata per non lasciare freddi gli occhi, che gli innamorati un po' antichi e molto paraculi, per fare gli irresistibili, chiamano ancora "stelle". E parlando di grandi numeri, facendo un salto concettuale volutamente spregiudicato, e anche stridente, scendo malamente dal mar ligure al mare di Sicilia perché mi restano ancora nella testa, nonostante tutto il glamour abbondantemente distraente, le immagini di quei trecento (trecento) corpi sbattuti dalle onde affamate di morte. Sono due mari nostri, efficacemente popolare e festoso l'uno, paurosamente mortifero l'altro. Del dolore è difficile e pesante prendersi cura, se poi si presenta in una forma così numericamente imponente ti senti ancora più impotente e più distante, e come già succede per molte canzoni di San Remo dopo un po' te ne scordi inesorabilmente. Perché, come scordi e non memorizzi tutte le note, scordi pure il rumore delle onde che gli uomini sanno rendere assassine. Alla fine, laggiù in fondo in fondo, nel silenzio delle profondità infrequentabili, tutti i mari si assomigliano.
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