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Il ‘clientelismo’ e le sue regole… nella Roma antica (?)

Cos’è che conta di più? Il denaro, il potere? Potremmo rispondere: la possibilità di essere in grado di fare ‘favori’ e, di conseguenza, di riceverne.

Il ‘clientelismo’ e le sue regole… nella Roma antica(?)

Da che mondo è mondo c’è sempre stato chi ha il denaro e chi ha la posizione sociale giusta, così a Roma c’erano i patroni e i clientes. A ben guardare, mutatis mutandis, la parola patronus rievoca tanto ‘padrino’...

Cos’è che conta di più? Il denaro, il potere? Potremmo rispondere: la possibilità di essere in grado di fare ‘favori’ e, di conseguenza, di riceverne. La logica che governava la società romana era tutta improntata al “do ut des” (ti do affinché tu mi dia) o al “da quia dedi” (dammi perché io ti ho dato), ovvero, per farla breve, su logiche clientelari. Da che mondo è mondo c’è sempre stato chi ha il denaro e chi ha la posizione sociale giusta, così a Roma c’erano i patroni e i clientes. Il vincolo della ‘clientela’ potrebbe essere inteso come una sorta di antica forma di vassallaggio; ovvero coloro che godevano di una posizione sociale debole (uno straniero, un liberto, un povero o semplicemente un plebeo voglioso di ascesa sociale), per ‘sopravvivere’ a Roma, doveva necessariamente ‘legarsi’ con un ‘patto di fedeltà’ e reciproco aiuto ad un patronus, solitamente un aristocratico che offriva in cambio di alcuni servigi la propria protezione. A ben guardare, mutatis mutandis, la parola patronus rievoca tanto ‘padrino’, ma questa è un’altra storia… Tornando alla Roma antica, il cliente era dovuto a sostenere il patronus con un aiuto fi­nanziario se necessario: ad es. per il suo riscatto, se è prigioniero; per il pagamento di multe alle quali fosse stato condannato; per costituire la dote di una figlia e, soprattutto, sostenerlo nel­la vita politica [i Romani erano perennemente in campagna elettorale peggio di noi]. Dal canto suo il patrono doveva assistere il suo protetto con denaro e sostenerlo nelle vertenze giudiziarie. Tale vincolo, o meglio “foedus” (cioè patto), tra il patrono e il cliente era non solo lecito ma addirittura tutelato dal sistema giuridico, al punto che già dal V sec. a.C. fu disciplinato nelle Leggi delle XII Tavole. Tra i doveri di un cliens – come spiega Cicerone -c’erano anche dei veri e propri rituali come la “salutatio matutina” a casa del patronus, dove i vari clientes venivano ricevuti dal signore, stanziandosi nell’atrio di casa (“deductio”), per poi accompagnarlo per le vie della città (“adsectatio”); ciò accreditava il patronus agli occhi dei cittadini, dal momento che più era folto il codazzo dei clientes più il personaggio godeva di importanza nella società. Anche se quest’immagine può far sorridere, ricordandoci alcune scene del secolo scorso in cui il “don” del paese era accompagnato dai ‘tirapiedi’ di turno, tuttavia il clientelismo nella Roma antica era un’istituzione molto seria, basata come già accennato, sul sacro vincolo della “fides”; in virtù di ciò il tradimento o la rottura del patto da parte di uno dei due determinava che il reo divenisse “sacer” agli occhi della comunità (come osserva il grammatico Servio). Letteralmente la parola ‘sacer’ vuol dire “consacrato agli dèi” ma in questo caso acquista l’accezione di ‘maledetto’, poiché nella comunità latina il sacer doveva essere espulso, i suoi beni confiscati; abbandonato da tutti, poteva essere ucciso da chiunque. Ciò si spiega in virtù del fatto che i clienti è come se facevano parte della ‘familia’, pertanto un tradimento tra patronus e cliens equivaleva ad una frode tra padre e figlio, cosa che perteneva, dunque, non tanto all’ambito del diritto quanto a quello religioso. Fortuna che sono passati più duemila anni e le cose sono assai cambiate nella società odierna… nel senso che defezioni e doppi giochi sono all’ordine del giorno, senza che ciò sia considerato un ‘sacrilegio’…

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Alba Subrizio

Alba Subrizio
«E quel giorno che ha potere solo sul mio corpo e su null’altro, ponga pure fine, quando vorrà, alla mia vita. Con la miglior parte di me volerò eterno al di sopra degli astri e il mio nome non si potrà cancellare, fin dove arriva il potere di Roma sui popoli soggiogati, là gli uomini mi leggeranno, e per tutti i secoli vivrò della mia fama…». Così Publio Ovidio Nasone conclude il suo capolavoro “Le Metamorfosi”; sulla scia del grande Sulmonese. E, allora, eccomi qui a raccontarvi di miti, eziologie e pratiche del mondo antico… che fanno bene anche oggi.

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