I pensieri dell'altrove
22.11.2015 - 10:38
Succede che dopo hai solo voglia di di silenzio. Tutta quella frana inevitabile di parole non impressiona più, ma dà addirittura un senso di saturazione. Se è vero, come è vero, che siamo tutti disarmati e facili obbiettivi mobili, meglio sentirsi completamente nudi, spogli, senza metafore e senza falsificazioni. Senza interpretazioni o mistificazioni. Le parole uniscono e creano un anello di calore, di vicinanza, di solidarietà, ma ci sono casi che vanno oltre le impressioni verbali e le intenzioni dialettiche. Ci sono cose che vanno oltre le parole. Parlano gli occhi, persi in una sostanza fatta di paura, parlano i corpi, curvi e appesantiti da un'aria livida e mortifera, parlano i disegni dei bambini, chiamati a diluire il nostro terrore rassicurandoci con la loro ingenua ed ignorante speranza. È una terra spietata quella che abitiamo, è un pezzo di universo crudele, senza misericordia e senza una rassicurante lucidità di intenti. Pare che la modernità non sia stata capace di interrompere il filone dell' homo omini lupus, la minaccia della sopraffazione è costantemente viva, la componente della aggressività più violenta non conosce stanchezza. Non è bastata la lunga storia nei libri, la cultura, il sapere, la memoria. Non hanno dato nessun contributo la musica, la commozione per la grandezza dell'arte, le espressioni della poesia, la fedeltà delle stagioni, l'accoglienza della terra. Non hanno deciso in misura determinante il miracoloso patto d'amore fra un uomo ed una donna, la passione che nutre tutti gli esseri che si desiderano, il futuro che si affaccia fra le gambe di una madre, una stretta potente di mano e di cuore che si fa largo nel dolore. Noi colpiamo, siamo colpiti, sempre con più indecenza, sempre con meno timore. E si continua a sbagliare, in un modo o nell'altro, in una sorta di gigantesca roulette russa dove se il proiettile non fa il foro in testa a te in questo giro, sei comunque un candidato certo per il prossimo. Parliamo di identità, di sfide, di controlli, di guerre, di terrore, bombe, kamikaze. Il secondo dopo siamo invitati a stordirci di vita 'normale' perché la possibilità che la vita si fermi solo di fronte allo smarrimento ed allo sgomento non è consentita agli uomini dignitosi e liberi. Ma la fierezza non si organizza, arriva d'impeto parallelamente all'inquietudine e poi lascia varchi aperti per infiltrazioni alla diffidenza, a stati d'animo incongruenti, a comportamenti violati dal condizionamento. Io non voglio nemmeno avvicinarmi a ragionamenti politici, religiosi, strategici, economici. C'è tutto il mondo che lo fa e tutti hanno la certezza che la propria opinione sia quella che tutto il mondo aspetta. Io vorrei restare sul margine delle indicazioni confuse, delle considerazioni scomode, vorrei fermarmi nel mio pensiero umano non infilato nelle logiche dei grandi sistemi. Dovessi parlare, dovrei dire che sono smarrita almeno quanto sono imbarazzanti le mie domande. Ma non mi voglio dare risposte che solo il mio profondo, il nostro comune profondo conosce e, forse, solo l'onestà del profondo ha presuntuosamente e inaspettatamente qualche drammatica verità. Io mi fermo sul bordo, arrabbiata e triste, senza strategie, con quella canzone di John Lennon per compagnia ed i confini sfilacciati di un'emozione vuota. Nell'aria, la resistenza estrema di una preghiera senza luoghi, presa in ostaggio e poi buttata giù, nella gola di un feroce azzardo chiamato Uomo.
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