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La bufala è servita

La chiusura de I Fratelli La Bufala è il fallimento di un modello di ristorazione che nulla a che fare con la tipicità tanto sventolata

La bufala è servita

Il locale chiuso dei Fratelli La Bufala a Foggia

Una riflessione in merito alla chiusura de I Fratelli La Bufala.Al netto del dramma sociale che coinvolge i lavoratori licenziati, a cui credo vada la solidarietà di tutta la città, ci troviamo di fronte all'ennesimo esempio di improvvisazione imprenditoriale impastata a quella smania di cavalcare trend ormai logori che hanno in parte contribuito a ledere la dignità della ristorazione italiana tanto in ambito nazionale quanto all'estero.Ho seguito sempre con diffidenza l'escalation di queste grandi catene di montaggio della ristorazione e la moltiplicazione delle strutture attraverso il franchising. Ne spiegherò dopo il motivo, prima mi soffermerò sulla mia personale esperienza al locale in questione. A due settimane di distanza dall'apertura, incuriosito soprattutto dalla lunga fila per accedere a un posto a sedere, decido di incolonnarmi anche io e dopo oltre venti minuti di attesa riesco a guadagnare il diritto a sedermi. Il primo impatto all'ingresso è stato un misto di curiosità e piacevole constatazione rispetto a un ambiente abbastanza sobrio, a tratti minimal, dove il nero e il rosso erano predominanti, per non dire assoluti. Un ragazzo con gentilezza ci fa accomodare (successivamente si presenterà come il direttore di sala) e ci viene consegnato il menù. Un appunto sul posto a sedere: non è il massimo avere un tavolo praticamente in vetrina, con i passanti a guardare in fondo alla tua gola a ogni boccone, ma si può anche soprassedere. La mise en place tipica da fast food chic: fa tanto figo ma mal si addice a un ristorante. Il menù, un po' ostico da decifrare, era farcito di richiami alla leggendaria impresa dei “Fratelli” e firme di grandi chef che avevano realizzato i piatti in programma. Opto per un pasto leggero: piatto di latticini di bufala, insalata e un assaggio di carne di bufala. Il servizio a corto di esperienza e il tutto esaurito sono state le giustificazione che ho dato al ritardo sia in fase di ordine che di ricezione dell'ordinato, anche perché il mio scetticismo iniziale era stato fugato da pietanze più che discrete rispetto a quanto mi aspettassi e il conto giusto per quanto servitoci. Felice di essermi in parte ricreduto, torno a distanza di circa venti giorni, coinvolgendo due inconsapevoli amici. 

Solita folla, solita fila, ma questa volta l'occhio è più attento. A iniziare dalla carrellata di vini in vetrina, una parete di monomarca (Fratelli la Bufala, ovviamente) abbastanza deprimente per una struttura che si vanta di eccellenti collaborazioni per la realizzazione delle pietanze. Ci sediamo, dopo un'attesa di un quarto d'ora arriva il menù. Ritorno sui latticini di bufala e questa volta ci lanciamo sulla tanto decantata pizza. Che dire: il piatto di assaggi nel giro di poco piu di due settimane si è ridotto a piattino. E la pizza: un disco gommoso che galleggiava in un siero bianchiccio, condito da una formaggio filante che non assomigliava neanche lontanamente a una mozzarella confezionata industrialmente. Da allora non ho più messo piede nel locale. Oggi apprendiamo che ha chiuso, sommerso dai debiti.

Al di là dell'improvvisazione, della palese presa in giro dei clienti (la pizza sulla bufala credo non l'abbiamo mai prevista realmente), dell'arroganza al voler ergersi a luogo di riferimento per la ristorazione, la chiusura de I Fratelli La Bufala rappresenta il fallimento del modello di alimentazione globalizzata in chiave tipica. Ovunque andiamo, che ci si trovi a Foggia piuttosto che a New York, abbiamo lo stesso menù, lo stesso arredamento, lo stesso vino. Cambia il personale (e qui la differenza si avverte, almeno nella più o meno affermata capacità di riuscire a confezionare le pietanze secondo il disciplinare aziendale), ma non la deplorevole sensazione di essere vittime di una grande operazione di marketing e nulla di più. 

Diciamocelo francamente: queste cose lasciamole ad altri. La nostra provincia offre una una produzione agricola qualitativamente eccellente e una tradizione culinaria straordinaria, abbiamo ristoratori e imprenditori che svolgono questo lavoro con fatica e onestà, raggiungendo in alcuni casi livelli molto alti. La pizza poi possiamo permetterci di mangiarne di ottime, in qualsiasi zona della città. Certo, la fascinazione del marchio, la novità dell'esperienza, la curiosità del nuovo possono influenzare (come è successo a me), ma fondare un'attività sulla fugacità di un'emozione dimostra quanto vacuo sia il progetto di chi ci vuole tutti uguali. Anche a tavola.

Una riflessione in merito alla chiusura de I Fratelli La Bufala.Al netto del dramma sociale che coinvolge i lavoratori licenziati, a cui credo vada la solidarietà di tutta la città, ci troviamo di fronte all'ennesimo esempio di improvvisazione imprenditoriale impastata a quella smania di cavalcare trend ormai logori che hanno in parte contribuito a ledere la dignità della ristorazione italiana tanto in ambito nazionale quanto all'estero.
Ho seguito sempre con diffidenza l'escalation di queste grandi catene di montaggio della ristorazione e la moltiplicazione delle strutture attraverso il franchising. Ne spiegherò dopo il motivo, prima mi soffermerò sulla mia personale esperienza al locale in questione.
A due settimane di distanza dall'apertura, incuriosito soprattutto dalla lunga fila per accedere a un posto a sedere, decido di incolonnarmi anche io e dopo oltre venti minuti di attesa riesco a guadagnare il diritto a sedermi. Il primo impatto all'ingresso è stato un misto di curiosità e piacevole constatazione rispetto a un ambiente abbastanza sobrio, a tratti minimal, dove il nero e il rosso erano predominanti, per non dire assoluti. Un ragazzo con gentilezza ci fa accomodare (successivamente si presenterà come il direttore di sala) e ci viene consegnato il menù. Un appunto sul posto a sedere: non è il massimo avere un tavolo praticamente in vetrina, con i passanti a guardare in fondo alla tua gola a ogni boccone, ma si può anche soprassedere. La mise en place tipica da fast food chic: fa tanto figo ma mal si addice a un ristorante. Il menù, un po' ostico da decifrare, era farcito di richiami alla leggendaria impresa dei “Fratelli” e firme di grandi chef che avevano realizzato i piatti in programma. Opto per un pasto leggero: piatto di latticini di bufala, insalata e un assaggio di carne di bufala. Il servizio a corto di esperienza e il tutto esaurito sono state le giustificazione che ho dato al ritardo sia in fase di ordine che di ricezione dell'ordinato, anche perché il mio scetticismo iniziale era stato fugato da pietanze più che discrete rispetto a quanto mi aspettassi e il conto giusto per quanto servitoci. Felice di essermi in parte ricreduto, torno a distanza di circa venti giorni, coinvolgendo due inconsapevoli amici. Solita folla, solita fila, ma questa volta l'occhio è più attento. A iniziare dalla carrellata di vini in vetrina, una parete di monomarca (Fratelli la Bufala, ovviamente) abbastanza deprimente per una struttura che si vanta di eccellenti collaborazioni per la realizzazione delle pietanze. Ci sediamo, dopo un'attesa di un quarto d'ora arriva il menù. Ritorno sui latticini di bufala e questa volta ci lanciamo sulla tanto decantata pizza. Che dire: il piatto di assaggi nel giro di poco piu di due settimane si è ridotto a piattino. E la pizza: un disco gommoso che galleggiava in un siero bianchiccio, condito da una formaggio filante che non assomigliava neanche lontanamente a una mozzarella confezionata industrialmente. Da allora non ho più messo piede nel locale. Oggi apprendiamo che ha chiuso, sommerso dai debiti.
Al di là dell'improvvisazione, della palese presa in giro dei clienti (la pizza sulla bufala credo non l'abbiamo mai prevista realmente), dell'arroganza al voler ergersi a luogo di riferimento per la ristorazione, la chiusura de I Fratelli La Bufala rappresenta il fallimento del modello di alimentazione globalizzata in chiave tipica. Ovunque andiamo, che ci si trovi a Foggia piuttosto che a New York, abbiamo lo stesso menù, lo stesso arredamento, lo stesso vino. Cambia il personale (e qui la differenza si avverte, almeno nella più o meno affermata capacità di riuscire a confezionare le pietanze secondo il disciplinare aziendale), ma non la deplorevole sensazione di essere vittime di una grande operazione di marketing e nulla di più. Diciamocelo francamente: queste cose lasciamole ad altri. La nostra provincia offre una una produzione agricola qualitativamente eccellente e una tradizione culinaria straordinaria, abbiamo ristoratori e imprenditori che svolgono questo lavoro con fatica e onestà, raggiungendo in alcuni casi livelli molto alti. La pizza poi possiamo permetterci di mangiarne di ottime, in qualsiasi zona della città. Certo, la fascinazione del marchio, la novità dell'esperienza, la curiosità del nuovo possono influenzare (come è successo a me), ma fondare un'attività sulla fugacità di un'emozione dimostra quanto vacuo sia il progetto di chi ci vuole tutti uguali. Anche a tavola.

 

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Luca D'Andrea

Luca D'Andrea
Se non avesse fatto il giornalista, due erano gli obiettivi nella sua vita: diventare professore di storia o uno chef internazionale. Abbandonato il primo abbastanza precocemente per dedicarsi allo studio della finanza, per il secondo ha trovato dignità solo nel chiuso della sua modesta cucina. Tra la prima ciambella impastata con un Moulinex d’annata e l’ultimo risotto del sabato, si è occupato di finanziamenti pubblici con Sviluppo Italia prima di essere fagocitato dalla mirabolante esperienza de La Grande Provincia, dove alcuni scriteriati estimatori delle sue dilettantistiche capacità giornalistiche hanno scommesso sull’impresa di farne un giornalista professionista. Abbandonate le redazioni, da alcuni anni si occupa di comunicazione istituzionale e attualmente ricopre l’incarico di addetto stampa al Comune di Foggia. A 37 anni, però, continua a fantasticare su un futuro non proprio prossimo in cui potrà finalmente darsi da fare tra pentole e fornelli.

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