I libri che liberano le tue emozioni

Storie&Geografie

IL GIUDICE Z

IL GIUDICE Z

Un'aula di Tribunale

Non mi era mai piaciuto il giudice Z. Anziano, bassino e leggermente corpulento, dava l’aria di supplire alla statura non eccelsa con un sussiego comunque fuori misura.

Guardava sempre dritto davanti a sé e non salutava nessuno. Eppure il giudice Z, pretore in un paesino della provincia, è stato il protagonista di uno dei miei più clamorosi errori di valutazione. Fresco di iscrizione all’Albo, attendevo pazientemente che venisse chiamata la mia causa. Venne introdotto un anonimo caso di maltrattamenti in famiglia. I protagonisti li avevo notati poco prima, osservando distratto la varia umanità venuta quel giorno a vedere amministrare la giustizia.

Piccoli. Tutti e due, marito e moglie. Non solo per l’età -erano giovanissimi- ma per la mancanza palese di qualunque nutrimento nella loro vita. Non magri, rachitici. Non bassi, ma al massimo dell’altezza che potevano raggiungere. La ragazza aveva l’aria di una bambina che avrebbe potuto anche essere bella, una volta cresciuta, ma che non se lo era potuto permettere. Si tenevano per mano, seduti sulle sedie del corridoio, con gli occhi veloci e spauriti. Il ragazzo portava i capelli a caschetto, in omaggio a gusti musicali noti solo alla sua tribù. Ogni tanto uno sguardo duro alla compagna, ma non di rimprovero. Come se comprendesse l’inevitabilità delle conseguenze dei suoi comportamenti. Solo un calcio in più sul fondo di pantaloni ormai consumati dalla miseria.

Chiamati per nome, entrarono tenendosi per mano e vennero distribuiti ai loro posti. Prime formalità, “ha un difensore?” “allora d’ufficio l’avvocato Tizio” “a disposizione signor Giudice, ossequi riverisco…” “lei è…?” “avanti il testimone” “consapevole eccetera eccetera…”

Cominciò, il PM onorario

–Lei è sposata con il signor …. ?”

Due “si” di risposta. Il primo per assentire. Il secondo, subito dietro il primo, per anticipare qualunque obiezione eventuale, per fugare qualunque dubbio. Dietro quel secondo "si" c'era tutta la loro storia. Conosciutisi a quindici anni. Più nulla da sperare nella vita, né un motivo per formarsi un’arte. Sposi per forza, una fuga, liti in famiglia, dispense, autorizzazioni e, infine, una miseria economica divisa in due.

–È stata vittima di episodi di percosse?–

– (pausa) nonoccapito …–

– Ha subito delle percosse?–

–…–

–Suo marito la picchiava? L’ha menata?– il pm capì finalmente con chi aveva a che fare.

– Ah! (altra pausa) no. Non mi ha fatto niente–

L’aria cambiò di colpo in aula. Un collega dietro di me, spettatore anch’egli, borbotto un “ahia!”. L’istinto processuale di tutti colse il potenziale interesse della faccenda. Con il giudice Z c’era sempre poco da scherzare.

Lui, dal canto suo, si limitò ad inarcare un sopracciglio, risvegliato dalla noia della routine.

–Signora– riprese con calma il pm– è vero che il giorno 10 ottobre 1996 si recò dai carabinieri, dicendo che suo marito la picchiava di frequente?–

Il ragazzo aveva gli occhi bassi. Un bambino sorpreso a rubare, che avrebbe voluto non farlo, ma ormai era tardi. Ancora silenzio, la poverina non sapeva che fare. Il pm continuò.

–A questo punto procedo a contestazione. Lei ha dichiarato eccetera eccetera…–

La parola “contestazione” risvegliò il terrore della poveretta. Troppo simile la parola ad una multa dei vigili urbani, in grado di sconvolgere il bilancio familiare.

–Si, l’ho detto. Però non è vero! Volevo solo che la finiva.–

– Ma allora la picchiava.–

–Si … NO!– nessuna comprensione da quel lato. Provò a cambiare versante, inutilmente a mio parere, con una disarmante franchezza –signoggiudice! Non ci fate male a mio marito! Io ci voglio bbene!!–

Aveva sorriso? Il giudice Z aveva sorriso?! No, era il riflesso della finestra. E poi aveva degli occhi tristi. Mi ero sicuramente sbagliato.

–Signor Pretore– chiosò il pm onorario –chiedo la trasmissione degli atti…–

–Va bene, va bene– interruppe Z con gesto da scacciamosche.

–Ma Giudice…–

–… chiusa l’istruttoria, atti utilizzabili… – nemmeno  l’ascoltò. Un secondo dopo era sparito in camera di consiglio, lasciando i protagonisti immobili, come personaggi di una foto.

Rientrò dopo pochi minuti, la ragazza aveva fatto appena in tempo ad alzarsi di soppiatto e a guadagnare il fondo della stanza.

– … del Popolo Italiano, il Pretore di T., letto l’articolo 530…–

Assolto. Non credevo alle mie orecchie. Quello che accadde dopo fu ancora meglio. Il giudice Z fece cenno all’imputato di avvicinarsi. Il ragazzo si arrampicò letteralmente –mingherlino com’era– sulla cattedra alta. Le braccia stese come se fosse salito su una zattera. Da dov’ero potevo vedere le punte dei piedi faticosamente a contatto con il pavimento, la schiena ed il caschetto dei capelli malamente ossigenati.

–Io mo’ t’ho assolto– disse Z –ma se tocchi ancora tua moglie…  – 

Bisbigliava, ma io ero vicino.

–… mica ti condanno …–

Sentii chiaramente il rumore di un grosso ramo che si spezzava. Non capii subito da dove provenisse, ma un secondo dopo vidi il caschetto che ancora ballava.

– .. io t’accido …!–

Secondo rumore, uguale al precedente. Incredibile. Era uno schiaffo.

– … vengo fino a casa tua!–

Il giudice Z aveva rifilato al ragazzo due ceffoni da fiera campionaria.

– E mo’ vattene!– sibilò.

Il ragazzo si girò mormorando un grazie. Gli occhi spalancati come chi, felice, si è visto cadere un albero ad un piede e mezzo lontano. Prese per mano la moglie, che se lo guardava come se glielo avessero restituito da un naufragio, e se ne andò. Unico segno dell’esperienza passata una guancia vermiglia e pulsante.

Quel giorno tornai a casa alle tre e mezzo. Il giudice chiamò la mia causa tra le ultime. La radio a tutto volume, cantai a squarciagola per tutto il tragitto e iscrissi Z nella lista dei miei eroi personali.

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Il Castello Edizioni e Il Mattino di Foggia

Caratteri rimanenti: 400

Marco Scillitani

Marco Scillitani
È nato nel 1967, il 23 novembre, giorno che gli ha consentito di festeggiare un compleanno indimenticabile con il terremoto del 1980. Fa l'avvocato non per vivere, ma perché lo trova interessante e, non avendo mai saputo usare le mani gli è parso il metodo più efficace per raddrizzare le cose storte. Insegna Magia e Formule all'Università, ma di nascosto. Chi lo ascolta crede che parli di Procedura penale. Solo il titolare della cattedra se ne è accorto ma fa finta di niente. Da piccolo ha cominciato a osservare quello che gli accadeva intorno, collezionando storie e territori immaginari. Quando qualcuno glielo chiede, le restituisce. Ma non si assume responsabilità.

edizione digitale

Insert these parameters on configuration: newsstand_link, newsstand_title

Il nostro network