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Siamo tutti in cerca di una Nemesi

Giustizia riparatrice o vendetta, ecco chi era la dea greca che ‘compensava’ i torti subiti

Siamo tutti in cerca di una Nemesi

Oggi la si chiama Provvidenza o Giustizia divina, gli antichi la chiamavano Némesis. Sono in molti a credere, quando si è subìto un torto, che prima o poi ci sarà una sorta di ‘giustizia’ che rimetterà a posto le cose, ovvero che ‘compenserà’ il sopruso; a tal proposito si sentono spesso frasi proverbiali del tipo “la vita è una ruota che gira, prima o poi tutto torna” o la famosissima “vai sulla riva del fiume, siediti e aspetta. Un giorno vedrai il cadavere del tuo nemico passarti davanti” attribuita a Confucio. Sebbene questo sentimento di giustizialismo provvidenziale appartenga a tutte le culture, i Greci avevano una divinità apposita a cui rivolgersi. Némesi, infatti, secondo Esiodo era figlia di Erebo e Notte, era una divinità antichissima, il cui nome vuol dire “distributrice di giustizia”, e il suo compito era ‘riparare’ – se così si può dire – alle azioni ingiuste commesse dagli uomini, tanto che il suo nome divenne subito sinonimo di “vendetta”. Una vendetta che presto o tardi arriva: non a caso era detta Adrasteia, cioè “l’inevitabile”, “colei che non è possibile sfuggire”. Un modo come un altro per parlare di Provvidenza? Non proprio, il concetto di nemesi per i Greci era un po’ diverso: rispondeva ad un’idea di ‘armonia’ dell’universo e di ‘equilibrio’, secondo cui il troppo male doveva essere compensato da un bene e viceversa; ecco perché dopo un periodo particolarmente fortunato nella vita doveva necessariamente arrivarne uno altrettanto sfortunato, pertanto Nemesi era colei che distribuiva gioia o dolore a seconda di quanto fosse ‘giusto’. Si narra che il buon Zeus (e chi altrimenti?) si innamorò di lei, che però cercò in tutti i modi di sfuggire al dio, trasformandosi in diversi animali, persino in un’oca selvatica. Ma Zeus la riconobbe e a sua volta si trasformò in un cigno, così da poterla avvicinare. Allora il padre degli dèi abusò dell’oca-Nemesi mentre dormiva e questa dopo poco tempo partorì un uovo dal quale si narra nacque Elena di Troia, che tante sventure procurò ai Greci e ai Troiani. I Romani non avevano un corrispettivo latino per questa dea greca, ma le avevano comunque dedicato un tempio sul Campidoglio. Interessante è il caso del poeta latino Albio Tibullo che, tradito dalla sua amata Delia (nome evocativo, che fa pensare al dio della poesia Apollo Delio), decide di mettersi con la bella Nemesi, un nome parlante che allude alla ‘vendetta’, per cui con lei il poeta Tibullo si vendica dell’altra donna che l’ha tradito. E voi credete alla nemesi o appartenete al gruppo per cui nulla ha un senso nella vita? E se la nemesi non dovesse mai giungere? Niente paura, preparate una bella tabula defixionis per il vostro nemico, come suggerito in  un nostro precedente articolo: http://www.ilmattinodifoggia.it/blog/21712/La-defixio--ovvero-come-liberarsi.html

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Alba Subrizio

Alba Subrizio
«E quel giorno che ha potere solo sul mio corpo e su null’altro, ponga pure fine, quando vorrà, alla mia vita. Con la miglior parte di me volerò eterno al di sopra degli astri e il mio nome non si potrà cancellare, fin dove arriva il potere di Roma sui popoli soggiogati, là gli uomini mi leggeranno, e per tutti i secoli vivrò della mia fama…». Così Publio Ovidio Nasone conclude il suo capolavoro “Le Metamorfosi”; sulla scia del grande Sulmonese. E, allora, eccomi qui a raccontarvi di miti, eziologie e pratiche del mondo antico… che fanno bene anche oggi.

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