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Quando il 'dionisiaco' viene represso, ovvero la 'vendetta' della divinità

Dal mito di Penteo e delle Baccanti alle teorie di Nietzsche sulla tragedia greca

Quando il 'dionisiaco' viene represso, ovvero la 'vendetta' della divinità

L'equilibrio della vita è garantito dalla commistione tra l'apollineo e il dionisiaco. [...] Se ci si ostina a negare, a reprimere l'impulso, a far finta che l'essere umano sia solo razionalità si va incontro alla 'catastrofe': gli impulsi repressi vengono sempre fuori; ciò che viene covato a livello inconscio, se trattenuto, emerge con ancora più forza, con furor devastante...

La scorsa settimana abbiamo parlato della sui generis nascita del dio Dioniso e di come morì Semele, sua madre. A tal proposito ricordiamo che la fanciulla fu indotta dalle sorelle a chiedere all'amante di manifestarsi nella sua natura divina, a causa dello scherno con cui la deridevano, non credendo alla storia che si trattasse di Zeus in persona. Orbene, il mito racconta che la vendetta divina non tardò ad abbattersi su Tebe. Passati gli anni, divenne reggente della città Penteo, figlio di Agave (sorella di Semele); costui non voleva riconoscere il culto di Dioniso, motivo per cui il dio fece 'impazzire', o meglio riempì di 'furore bacchico', le donne della città. Invasate dalla divinità, tutte le donne si recarono sul monte Citerone, dove, in piena libertà, si lasciarono andare ad atteggiamenti sfrenati e ad eccessi di ogni sorta. Penteo vedeva in ciò una minaccia all'ordine costituito: i Baccanali – con il loro aspetto irrazionale – sovvertivano le regole del vivere sociale e, pertanto, facevano paura (come del resto fa paura tutto ciò che sfugge al nostro controllo, tutto ciò che non conosciamo). Racconta il tragediografo Euripide, nel V sec. a.C., che Dioniso con uno stratagemma persuase Penteo a travestirsi da donna per spiare cosa avveniva sul monte Citerone. Il re però fu presto scoperto dalle donne che, prese dal furor bacchico, essendo fuori di sé, quasi in uno stato allucinatorio, non lo riconobbero e lo fecero a pezzi squartandolo; a cominciare proprio dalla madre Agave che, trionfante, esibiva e portava come in processione la testa di Penteo impalata su di un'asta. Quando le donne ritornarono in sé, si accorsero di quale atrocità avevano compiuto e Agave apprese con strazio di aver ucciso il proprio figlio. Così si compiva la vendetta del dio. Che gli dèi greci fossero manipolatori e vendicativi non è una novità: lo abbiamo visto in tanti episodi del mito, ma il mito – come abbiamo sottolineato più volte – non era per gli antichi solo un racconto; esso spiegava attraverso storie accessibili a tutti la realtà, le leggi della natura, dell'universo e dell'inconscio. In particolar modo questo mito, per il messaggio universale che contiene, fu oggetto di studio da parte di Friedrich Nietzsche. Il filosofo e filologo tedesco approfondì infatti la logica che c'era dietro ai Baccanali, chiarendo che i Greci avevano scoperto che l'equilibrio della vita è garantito dalla commistione tra l'apollineo e il dionisiaco. Mentre l'aspetto apollineo allude all'impulso per la riflessione, per la bellezza, la grazia, rappresentando la razionalità umana, la capacità dell'uomo di elevarsi al di sopra di tutti gli altri essere del creato, coltivando le arti e le scienze; il dionisiaco è l'aspetto che si confà all'irrazionale, alla liberazione, alla sfrenatezza, ossia agli impulsi più bassi dell'uomo. Il mito vuole insegnarci che in ogni uomo convivono apollineo e dionisiaco, l'uno non può esistere senza l'altro; ecco perché l'atteggiamento di Penteo viene punito: non tanto perché ostacolasse Dioniso ma perché Penteo rappresenta colui che si ostina a negare, a reprimere l'impulso, a far finta che l'essere umano sia solo razionalità. Quando ciò accade, spiegava Euripide, si va incontro alla 'catastrofe', gli impulsi repressi vengono sempre fuori e quando ciò si verifica è sempre poi nelle forme più estreme, più deviate. Ciò che viene covato a livello inconscio, se trattenuto, emerge con ancora più forza, con furor devastante. Questo principio, che oggi è convalidato dalla psicanalisi, i Greci lo avevano già compreso più di 2500 anni fa; ecco perché, come spiegava Nietzsche, l’uomo greco rappresenta meglio di ogni altro il “superuomo” perché è stato in grado di raggiungere la felicità e questa felicità l’ha raggiunta attraverso l’equilibrio tra la sua parte apollinea e quella dionisiaca. 

 

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Alba Subrizio

Alba Subrizio
«E quel giorno che ha potere solo sul mio corpo e su null’altro, ponga pure fine, quando vorrà, alla mia vita. Con la miglior parte di me volerò eterno al di sopra degli astri e il mio nome non si potrà cancellare, fin dove arriva il potere di Roma sui popoli soggiogati, là gli uomini mi leggeranno, e per tutti i secoli vivrò della mia fama…». Così Publio Ovidio Nasone conclude il suo capolavoro “Le Metamorfosi”; sulla scia del grande Sulmonese. E, allora, eccomi qui a raccontarvi di miti, eziologie e pratiche del mondo antico… che fanno bene anche oggi.

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