AntichiRitorni
17.09.2017 - 01:12
“Un anello per domarli, un anello per trovarli, un anello per ghermirli e nel buio incatenarli” recita una famosa frase della trilogia dell’ormai celebre Tolkien. Una frase che a me ha sempre fatto sorridere (almeno un po’) perché me la immagino pronunciata dal sacerdote sull’altare proprio nel momento di unire i due coniugi in matrimonio. Eh già, perché in fin dei conti, da sempre, l’anello ha rappresentato un vinculum (così come lo chiamavano i nostri antenati Romani), ossia un legame a carattere impegnativo o obbligatorio. Nella fattispecie, nel mondo latino, esistevano due tipi di anello: il primo era l’anulus pronubus che veniva dato alla fidanzata/promessa sposa (sponsa) durante una cerimonia che precedeva il matrimonio, cioè gli sponsalia (un po’ come la nostra ‘promessa’), chiamati così poiché in tale occasione avveniva il rito dello spondere (promettere); ovvero l’uomo domandava al padre della fanciulla “Spondesne?” (Prometti?) e quello rispondeva “Spondeo” (Prometto). A questo punto, dopo le trattative sulla dote, il patto era stretto e successivamente sarebbe avvenuto (a breve) il matrimonio vero e proprio, in cui la ragazza riceveva un nuovo anello, il vinculum, e passava dalla patria potestas sotto la potestà del marito. Nell’antica Roma c’erano tuttavia due tipi di matrimonio; questo infatti poteva avvenire per “confarreatio” cioè mangiando, durante una fastosa cerimonia, una focaccia di farro offerta a Giove: era questo il matrimonio solenne; oppure attraverso una pratica più veloce: la “coemptio”, cioè una vera e propria ‘compravendita’ della donna, con cerimonia più breve, che addirittura avveniva dinanzi ad un funzionario con una bilancia. Cosa ne pensate? E soprattutto cosa rappresenta per voi l’anello? Un simbolo di status sociale, un patto o, forse, una ‘catena’, per cui ci si lega indissolubilmente a qualcuno che può reclamare un possesso? In fondo, oltre ad amore e affetto, il connubio (per dirla alla latina) non è anche questo? A voi l’ardua sentenza…
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