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La Sindrome di Proteo, dal mito alla medicina

Caso esemplare quello di Joseph Merrick "The elephant man", ma cosa c'entra con una divinità marina?

La Sindrome di Proteo, dal mito alla medicina

Quello di Merrick è rimasto un ‘caso’, se così si può definirlo, assai particolare: infatti, numerose sono state le ipotesi di diagnosi per la sua malattia congenita, e soltanto nel 1979  il dottor Michael Cohen riuscì ad identificarla (ricordiamo che comunque Merrik era vissuto e morto nella seconda metà dell’800).

Uno dei casi storici di malattie deformanti che ha da sempre interessato l’opinione pubblica è stato quello di Joseph Merrick, l’impressionante “Elephant man”, su cui David Lynch ha incentrato l’omonimo film. Quello di Merrick è rimasto un ‘caso’, se così si può definirlo, assai particolare: infatti, numerose sono state le ipotesi di diagnosi per la sua malattia congenita, e soltanto nel 1979  il dottor Michael Cohen riuscì ad identificarla (ricordiamo che comunque Merrik era vissuto e morto nella seconda metà dell’800). Tale patologia fu chiamata successivamente Sindrome di Proteo, dal nome del dio greco in grado di trasformare il suo aspetto fisico. In medicina si definisce con tale nome la crescita sproporzionata e incontrollata di ossa e tessuti, dovuta a quella che viene definita “mutazione a mosaico” (che interessa cioè il DNA di una sola parte delle cellule), così da generare gravissime malformazioni accompagnate a tumori della pelle. Cosa c’entra Proteo? Ancora una volta ci viene in soccorso il mito. A narrarci di questa divinità (il cui nome significa “primo nato”) è Omero nell’Odissea. Proteo, figlio di Oceano e Teti, era dunque una divinità marina; si narra fosse un vegliardo, che quando il sole toccava mezzogiorno era solito uscire dal mare per riposare, assumendo di volta in volta una forma diversa, per camuffarsi. Aveva bisogno di trasfigurare la sua vera immagine poiché, pare, possedendo virtù oracolari e profetiche, tutti lo cercavano per essere predetti il futuro o per porgli domande inerenti al proprio destino. Solo chi riusciva a riconoscerlo, afferrarlo e riportarlo al sua forma di vecchio riceveva quanto desiderato. Così Omero, nel libro IV: «egli sa tutte le cose vere, le passate, le presenti e le future, ma chi voglia sentire da lui predire il futuro, deve costringervelo con la forza, cogliendolo all'impensata, quando egli, nelle calde ore del pomeriggio, si adagia a fare la siesta in fresche grotte: allora bisogna legarlo solidamente, resistere a tutti i suoi tentativi di fuga, nei quali assume le più svariate forme, di serpente, di leone, di ardente fiamma, di pianta altissima, di acqua corrente; solo dopo ch'egli ha riconosciuto l'impossibilità di svincolarsi, allora si decide a manifestare ai mortali la volontà degli dèi e gl'immutabili decreti del fato». Trattandosi di una divinità minore, oggi il suo nome è sconosciuto ai più, se non fosse per l’espressione “essere un proteo”, cioè una persona ‘mutevole’ che cambia spesso opinione, e per la sindrome che – come si è visto sopra – ne porta il nome.

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Alba Subrizio

Alba Subrizio
«E quel giorno che ha potere solo sul mio corpo e su null’altro, ponga pure fine, quando vorrà, alla mia vita. Con la miglior parte di me volerò eterno al di sopra degli astri e il mio nome non si potrà cancellare, fin dove arriva il potere di Roma sui popoli soggiogati, là gli uomini mi leggeranno, e per tutti i secoli vivrò della mia fama…». Così Publio Ovidio Nasone conclude il suo capolavoro “Le Metamorfosi”; sulla scia del grande Sulmonese. E, allora, eccomi qui a raccontarvi di miti, eziologie e pratiche del mondo antico… che fanno bene anche oggi.

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