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‘Passare sotto le Forche Caudine’, l’umiliazione di una disfatta

Dalla storia di Roma al calcio italiano, la lezione dei Sanniti che decisero di non uccidere quel che rimaneva delle legioni romane, ma di umiliarle; perché la vergogna dell’umiliazione subita fosse per loro più indelebile della morte

‘Passare sotto le Forche Caudine’, l’umiliazione di una disfatta

È duro da dire, così come da ‘digerire’ – sebbene io non sia un’appassionata di sport -  che il calcio nostrano ha subito una grave sconfitta; una disfatta talmente umiliante che si potrebbe dire che “siamo passati sotto le Forche Caudine”. Un’espressione ben nota quando si tratta di aver subito un’umiliazione tale da sottomettersi con estrema vergogna. Questo modo di dire ha dietro di sé la storia di una resa disastrosa che l’ha reso proverbiale. Correva l’anno 321 a.C. quando, infatti, l’esercito di Roma, durante la Seconda Guerra Sannitica, fu pesantemente sconfitto in una zona nota come “gola di Caudio”. Quest’ultima non è stata ben identificata ma stando alla narrazione dello storico latino Tito Livio, doveva essere una zona delimitata da «due gole profonde, strette, ricoperte di boschi, congiunte l'una all'altra da monti che non offrono passaggi, nel mezzo si apre la strada»; considerando che Caudium, la capitale dell’esercito sannita era vicino Benevento (identificata da alcuni con l’attuale Montesarchio) si presume che la battaglia sia avvenuta appunto nella valle caudina, più o meno tra Benevento e Avellino. Cos’era accaduto? I Sanniti tesero un agguato ai Romani grazie ad uno stratagemma: alcuni di loro, travestitisi da pastori, si fecero catturare per poi riferire ai Romani che i Sanniti stavano per assediare Luceria (proprio la nostra Lucera!), i consoli ‘abboccarono’ e per correre in aiuto della città pugliese loro alleata, per fare prima, passarono nella gola di Caudio, sottoscrivendo la loro rovina. Qui infatti l’esercito venne asserragliato senza alcuna via di fuga, tanto che i Romani dovettero arrendersi. A questo punto i Sanniti decisero di non uccidere quel che rimaneva delle legioni romane, ma di umiliarle; perché la vergogna dell’umiliazione subita fosse per loro più indelebile della morte. Qui decisero di far passare tutto l’esercito disarmato e denudato sotto le “forche” (una sorta di giogo formato da due aste verticali e una orizzontale, da cui per passare sotto bisognava chinarsi a mo’ di inchino forzato) come atto di prostrazione ai vincitori. Sempre Livio racconta di come, mentre l’esercito passava, i Sanniti schernivano i Romani, anche pungolandoli con aste e spade: «E venne l’ora fatale dell’ignominia; prima i consoli, quasi nudi, furono fatti passare sotto il giogo; poi gli altri in ordine e grado furono sottoposti alla stessa onta; infine ad una ad una tutte le legioni. I nemici li circondavano, armati; li ricoprivano di insulti e di scherni e anche drizzavano contro molti le spade; alquanti vennero feriti e uccisi». Da quella volta i Romani impararono cosa volesse dire subire una disfatta vergognosa e lo ricordavano a sé stessi e ai posteri, perché - comunque – loro da quella volta avevano imparato, da quella volta non furono più costretti a chinare le terga dinanzi a nessuno…

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Alba Subrizio

Alba Subrizio
«E quel giorno che ha potere solo sul mio corpo e su null’altro, ponga pure fine, quando vorrà, alla mia vita. Con la miglior parte di me volerò eterno al di sopra degli astri e il mio nome non si potrà cancellare, fin dove arriva il potere di Roma sui popoli soggiogati, là gli uomini mi leggeranno, e per tutti i secoli vivrò della mia fama…». Così Publio Ovidio Nasone conclude il suo capolavoro “Le Metamorfosi”; sulla scia del grande Sulmonese. E, allora, eccomi qui a raccontarvi di miti, eziologie e pratiche del mondo antico… che fanno bene anche oggi.

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