Forever
11.09.2016 - 11:14
Come amava dire Rita Levi Montalcini, “Nella vita non bisogna mai rassegnarsi, arrendersi alla mediocrità, bensì uscire da quella ‘zona grigia’ in cui tutto è abitudine e rassegnazione passiva”.
E’ la prima volta nella storia dell’uomo l’occorrenza di due fenomeni: la dipendenza alimentare e l’invecchiamento di popolazione. Le due corna di uno stesso dilemma alimentare e nutrizionale. Per dipendenza alimentare si intende che non si produce tutto ciò che si mangia. Il cibo consumato è prodotto e trasformato altrove. Nel nostro caso, ad esempio, quasi tutte le filiere alimentari sono deficitarie di materie prime. Le uniche eccezioni sono per quella aviaria, vitivinicola e delle acque minerali (1). Correlata alla dipendenza è la necessità di garantirne la “sicurezza alimentare”, cioè assicurare che un prodotto alimentare non costituisca un pericolo o un danno alla salute. Ma la sicurezza alimentare, pur occupando grande parte della mia professione, esula dal tema centrale della riflessione settimane sulla prevenzione nutrizionale. Ed è a quest'ultima che fa riferimento il secondo corno del dilemma.
L’altro fenomeno originale che la nostra generazione sperimenta, con le dovute proporzioni, e a qualsiasi latitudine, è quello dell’Invecchiamento di popolazione. Con tale termine si intende la proporzione di popolazione che supera una soglia di età anagrafica, posta per convenzione a 65 anni di età. Ebbene, è la prima volta che da nord a sud del pianeta si sperimenta l’invecchiamento. Il progressivo invecchiamento della popolazione è ormai noto a tutti, esperti e non. Ciò che colpisce maggiormente nel panorama del 21° secolo è il fatto di assistere a una ridistribuzione demografica senza precedenti. Entro il 2050 la proporzione di anziani tenderà a raddoppiare, passando dall’11% al 22% della popolazione totale. Nei prossimi 5 anni, per la prima volta nella storia, il numero di individui di età uguale o superiore a 65 anni supererà quello dei bambini al di sotto dei 5 anni. L’incremento della popolazione anziana sarà più evidente nei Paesi in via di sviluppo, ma soprattutto nei Paesi industrializzati il segmento di popolazione che aumenterà maggiormente sarà quello degli ultraottantenni, il cui numero assoluto, entro il 2050, risulterà praticamente quadruplicato (2).
Tuttavia, l’invecchiamento di popolazione non è solo un argomento demografico o pensionistico, ma investe anche i costi e la sostenibilità del servizio sanitario nazionale. E la domanda che dovremmo porci è: in termini di salute e malattia, qual è l’impatto dell’invecchiamento di popolazione? Infatti, i costi che il servizio sanitario nazionale deve sopportare per la popolazione anziana sono direttamente proporzionali alla prevalenza delle malattie degenerative. Per comprendere questo passaggio logico è necessario fare un passo indietro di alcuni secoli.
E’ verosimile che nell’epoca nella quale è vissuto Gesù Cristo, 2000 anni fa, l’età media alla morte fosse di 35-40 anni. Tale popolazione non sperimentava l’invecchiamento. Anche se qualche matusalemme, così come ci racconta la Bibbia, c’è stato e qualcuno probabilmente arrivava a campare anche fino a 80-90 anni di età, tuttavia, la gran parte moriva molto prima. Oggi, nel2016, in Italia, le donne muoiono mediamente all’età di 84-85 anni ed i maschi a quella di 79-80 anni. Secondo te, caro mio lettore, i contemporanei di Gesù hanno sofferto di malattie cronico-degenerative, oppure siamo noi a doverle fronteggiare? E’ una domanda retorica, lo so. Ovviamente le malattie croniche le sperimenta la nostra generazione. Cardiopatie, tumori, diabete, ipertensione, Alzheimer e Parkinson, e così via compaiono generalmente dopo i 60 anni di età (3). E le malattie cronico-degenerative sono legate allo stile di vita. Infatti, tra i “fattori modificabili”, cioè quelli che possono essere corretti, troviamo la non corretta alimentazione, il fumo di tabacco e la sedentarietà (3). Cioè fattori che si richiamano allo ‘stile di vita’.
Paradossalmente, se la gran parte delle persone morisse prima dei 60 anni di età, il problema di che cosa mangiare, se fumare o di bere alcol non esisterebbe. Potremmo fare tutto quello che ci pare in termine di stile-di-vita, ma non sperimenteremmo (almeno la gran parte della popolazione) le malattie che, come abbiamo detto, si manifestano in gran parte dopo i 60-65 anni e affliggono l’età della pensione. Da questo assunto (invecchiamento - malattie croniche) ne discendono almeno 2 importanti corollari. Il primo, è che lo stile di vita delle generazioni passate non può insegnarci granché, perché queste morivano abbastanza prima della fatidica soglia dei 60-65 anni. E, quindi, per quanto riguarda l’alimentazione non esistono modelli alimentari di riferimento (altro che paleodieta!). L’altro corollario è che ciascuno di noi ha la responsabilità di invecchiare in salute, almeno per la parte dello stile di vita che può controllare direttamente (alimentazione, fumo e alcol). Se non abbiamo regimi alimentari di riferimento rispetto al passato è necessario rivolgerci alla letteratura scientifica per capire quale modello offra la maggiore protezione nei confronti delle malattie degenerative e permetta di “invecchiare in salute”. In particolare hanno attirato la mia attenzione due ricerche pubblicate quest’anno (ovviamente non solo le uniche; diversi e importanti studi sono stati pubblicati sul trinomio alimentazione-malattia-invecchiamento), che seppur limitate e non conclusive, accendono dei riflettori su una strada che merita di essere meglio illuminata e spingere i nostri scienziati a fare sforzi in tale direzione, a uscire da timidezze e a percorrere nuovi sentieri. Uno studio dell’University of Oxford, pubblicato ad aprile sui Proceedings of the National Academy of Sciences, ha stimato l’impatto quantitativo di un cambiamento di dieta – che comprende, tra le altre cose, un aumento del consumo di frutta e verdura e una riduzione del consumo di carne rossa e zuccheri – sulla mortalità globale e sull’inquinamento da gas serra (4). Sono stati disegnati tre diversi scenari alimentari. Il primo - il rispetto delle linee guida per una corretta alimentazione (che prevedono, nello scenario esaminato, il consumo di un minimo di cinque porzioni di frutta e verdura al giorno, di meno di 50 grammi di zuccheri al giorno, di un massimo di 43 grammi di carne rossa al giorno e di un massimo di 2200-2300 calorie al giorno), porterebbe a 5,1 milioni di morti in meno l’anno, per un totale di 79 milioni di anni di vita salvati. Il secondo, l’adozione di un’alimentazione vegetariana eviterebbe 7,3 milioni di morti in meno ogni anno. Il terzo, una dieta-a-base-vegetale permetterebbe di evitare fino a 8,1 milioni di morti l’anno.
Quindi, secondo questa ricerca pubblicata su una rivista scientifica importante, il migliore modello alimentare che permette di evitare più morti e malattie degenerative è quello a base-vegetale. Un’ulteriore conferma per il modello alimentare a base-vegetale l’abbiamo avuta ai primi di agosto con la pubblicazione su JAMA Internal Medicine di un interessante studio di coorte che ha seguito per 30 anni circa 131.342 persone, una parte reclutate nel Nurses' Health Study e l’altra dal Health Professionals Follow-up Study (5).Ebbene, l’elevata assunzione di proteine animali con la dieta era associata ad una aumentata mortalità, al contrario dell’elevata assunzione di proteine vegetali. Lo stesso modello alimentare mediterraneo a lungo studiato e sistematizzato da Ancel Keys è vegetariano. Affermava Keys in uno dei suoi ultimi lavori: “… Il cuore di ciò che oggi consideriamo dieta mediterranea è principalmente vegetariano …” (6)
Ed è alla Dieta Mediterranea che da alcuni anni viene dedicato il Festival di Alberona in provincia di Foggia. Fino a non molti anni fa, caro mio lettore domenicale, parlare di stile di vita era come dire una parolaccia. La salute e la malattia erano scritte nei nostri cromosomi. Tutto di noi era geneticamente determinato, o meglio geneticamente predisposto: dal colore degli occhi all’intelligenza, dal cancro alla longevità. Contava la familiarità, ma non lo stile di vita, non l’alimentazione o l’attività motoria. Come amavano dire i clinici di allora “per una vita in salute si dovrebbe poter scegliere i propri genitori”. Per i medici di sanità pubblica, invece, tutto era di “matrice ambientale”. Vale a dire che l’aumentato rischio di malattia degenerativa era associato alla pressione dell’inquinamento ambientale. A mettere d’accordo tutti, medicina clinica e preventiva, fu coniato il termine di “malattia ad interfaccia genetico-ambientale”. La malattia aveva un innesco genetico, ma la pallottola sparata era nella canna dell’inquinamento. Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha scontato tale dualismo genetico-ambientale per molti anni e solo recentemente ha definito lo stile di vita salutare “un modo di vivere volto alla riduzione del rischio di malattie e della morte prematura (7).
Come vedi, caro mio lettore, l’attuale generazione, per la prima volta nella storia (non si è mai verificato prima) condivide il far parte di una grande esperimento le cui coordinate sono la dipendenza alimentare e l’invecchiamento. Un esperimento che carica sulle nostre spalle la responsabilità dello stile di vita per vivere a lungo e in salute. In questo nostro solitario viaggio esperienziale, solo la scienza può essere il punto di riferimento. Il metodo che porta alla conoscenza scientifica (congetture e confutazioni), pur con tutti i suoi limiti, è l’unico che possa garantirci di essere sulla giusta strada (8). E credo che il monito di Rita Levi Montalcini, “Nella vita non bisogna mai rassegnarsi, arrendersi alla mediocrità, bensì uscire da quella ‘zona grigia’ in cui tutto è abitudine e rassegnazione passiva”, possa essere valido per tutti, ed in particolare per il mondo della ricerca scientifica ad indagare maggiormente sugli stili di vita e sulla prevenzione nutrizionale delle malattie croniche.
Bibliografia
1. Cara Severini, Seminario Integrazione Sicurezza alimentare nutrizionale, Foggia 5 maggio 2016
2. United Nations, World Population Ageing 1950-2050 (http://www.un.org/)
3. WHO, Preventing CHRONIC DISEASES a vital investment. Disponibile all'indirizzo: http://www.who.int/)
4. Springmann M, Godfray HC, Rayner M, Scarborough P. Analysis and valuation of the health and climate change cobenefits of dietary change. Proc Natl Acad Sci USA. 2016 Apr 12;113(15):4146-51.
5. Song M, Fung TT, Hu FB, Willett WC, Longo VD, Chan AT, Giovannucci EL. Association of Animal and Plant Protein Intake With All-Cause and Cause-Specific Mortality. JAMA Intern Med. 2016 Aug 1.
6. Keys A. Mediterranean diet and public health: personal reflections. Am J Clin
Nutr. 1995 Jun;61(6 Suppl):1321S-1323S.
7. World Health Organization, Healthy Living, 1999.
8. K. Popper, La scienza normale e i suoi pericoli, in AA.VV., Critica e crescita della conoscenza (1970), pp. 123-124, trad. di G. Gioriello, Milano, Feltrinelli, 1984.
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