Forever
29.01.2017 - 10:42
In Medicina tutto questo si chiama un falso “mito”, ovvero una erronea credenza basata solo su ipotesi. Ebbene, studi recenti suggeriscono che le cose non stanno esattamente così e le vecchie credenze cedono il passo a nuove evidenze.
Come per gli agli altri macronutrienti (carboidrati e lipidi), per i quali si fa una classificazione sulla loro composizione (ad esempio: zuccheri semplici e complessi, grassi saturi ed insaturi) e si forniscono indicazioni nutrizionali, anche per le proteine si ipotizzava, almeno fino a poco tempo fa, una distinzione tra “nobili” e “povere”, e si incoraggiava il consumo di alcuni alimenti ricchi di tali proteine, senza una dimostrazione di reali benefici per la salute. In Medicina tutto questo si chiama un falso “mito”, ovvero una erronea credenza basata solo su ipotesi non indagate. Ebbene, studi recenti suggeriscono che le cose non stanno esattamente così e le vecchie credenze cedono il passo a nuove evidenze.
Mangiare poco e bene è la ricetta per vivere a lungo e non ammalarsi di patologie cronico-degenerative. Messa così sembra facile. Tuttavia, andando più in profondità, e facendo riferimento alla letteratura scientifica, vedremo cosa significano quei termini “poco” e “bene” [1]. La restrizione calorica (introdurre poche calorie), senza però incorrere nella malnutrizione, è associata significativamente, negli studi di base su modelli animali, ad un aumento della speranza di vita media [2-7]. Questo aumento dell'aspettativa di vita, osservata negli animali da laboratorio con riduzione dell’assunzione di calorie, era associata alla carenza dell’IGF-1 (Insulin-Like-Factor-1, fattore simile all’insulina) e dei livelli di insulina [8-11].
I nani affetti dalla Sindrome di Laron, dei quali abbiamo già fatto conoscenza nel nostro blog sul “Mattino di Foggia” del 20 marzo 2016 (www.ilmattinodifoggia.it), hanno un deficit del IGF-1, del recettore dell’ormone della crescita e dei livelli di insulina e non si ammalano di cancro e di diabete, nonostante abbiano un’alimentazione pessima, ricca di zuccheri semplici e grassi animali. La riduzione di proteine o di alcuni particolari aminoacidi, come la metionina ed il triptofano, può spiegare in parte gli effetti della restrizione calorica sulla longevità ed i rischi di malattia [12-14]. Partendo da queste evidenze, il lavoro pubblicato su Cell Metabolism da Valter Longo ed altri [1] esamina i rischi di mortalità e di malattie cronico-degenerative in rapporto al consumo di proteine animali nei soggetti inseriti nel sistema di sorveglianza del National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES III) [National Center for Health Statistics, The Third National Health and Nutrition Examination Survey, disponibile all’indirizzo https://www.cdc.gov/]. Longo e gli altri autori hanno trovato che i soggetti esaminati nel NHANES III di età compresa tra i 50 ed i 65 anni, i quali avevano un elevato consumo di proteine, avevano anche un rischio di morte più elevato del 75% e una probabilità di morire per cancro nei prossimi 18-anni di 4 volte superiore a quelli con un basso introito proteico. L’associazione proteine e rischio di mortalità per tutte le cause e per cancro era azzerata o attenuata nei soggetti che assumevano proteine vegetali. In particolare, la mortalità nella coorte di 6.381 di persone del NHANES III di età 50-65 anni nei 18-anni dello studio, comprendente una stima di 83.308 persone-anno, è stata del +40% per tutte le cause, +19% per le malattie cardiovascolari, del +10% per il cancro e circa l’1% in più per il diabete. Esaminando nei dettagli l’associazione tra assunzione di proteine e mortalità, gli Autori hanno trovato che i benefici in termini di salute nei 18 anni dello studio si limitavano agli adulti di età 50-65 anni. Vale a dire che questi soggetti nei 18 anni seguenti al loro arruolamento (cioè, fino a quando diventavano rispettivamente 68-enni e 83-enni) avevano la maggiore riduzione dei rischi di mortalità totale e specifica per malattie cardiovascolari, cancro e diabete. Ma se i reclutati erano in età più avanzata i benefici si riducevano fino ad annullarsi.
Più recentemente, altri ricercatori hanno pubblicato un interessante lavoro su JAMA Internal Medicine del 1 ottobre 2016 [15]. Questi hanno esaminato l’associazione tra l’assunzione di proteine animali e vegetali con il rischio di mortalità. Sono stati inclusi nello studio 131.342 operatori sanitari (85.013 donne e 46.329 maschi) che hanno partecipato al Nurses' Health Study (dal 1980 al 1 giugno 2012) e al Health Professionals Follow-up Study (dal 1986 al 31 gennaio 2012). Dopo le opportune correzioni per i maggiori fattori di rischio legati allo stile di vita (ad esempio, fumo e alcol), l’assunzione di proteine animali non era significativamente associata ad un aumento di rischio per la mortalità totale, ma ad una elevata probabilità per quella cardiovascolare (esattamente dell’8% per ogni 10% in più di calorie). Al contrario, le proteine vegetali erano associate ad una riduzione del rischio di mortalità per tutte le cause (-10% per ogni incremento di appena il 3% di calorie) e per quella cardiovascolare (-12% per ogni 3% in più di calorie). Sostituendo le proteine animali con quelle vegetali l’associazione con la mortalità totale si abbassava. Per ogni 3% in più di calorie da proteine vegetali al posto di quelle animali, il rischio di mortalità era più basso: del -34% quando si sostituivano le carni rosse processate (salumi, insaccati, ecc.), del -12% per le carni rosse non-processate e del -18% per le uova.
Un altro lavoro, anch’esso pubblicato ad ottobre 2016, ha indagato sul rapporto tra la qualità proteica negli alimenti e la saziabilità e palatabilità [16]. I ricercatori hanno trovato che le proteine vegetali hanno la stessa palatabilità e saziabilità di quelle animali. Un’ultima questione sulla sostituzione delle proteine animali con quelle vegetali è quella relativa all’adeguatezza nell’assunzione dei nutrienti e sul rischio per i vegetariani di incappare in alcune carenze nutrizionali. Ebbene, uno studio pubblicato in una prestigiosa rivista scientifica ha chiarito anche questo aspetto [17]. Gli autori concludono, sulla base dei risultati della ricerca, che le proteine vegetali sono un “marcatore forte e robusto di una dieta sana” e che “l'assunzione di proteine animali non è un predittore appropriato di adeguatezza dei nutrienti.“ Esattamente il contrario di quanto si ipotizzava.
Come vedi, mio caro e fedele lettore, i pregiudizi e le falsi allocuzioni sull’alimentazione a base vegetale si stanno sgretolando uno ad uno sulla base di risultati di studi abbastanza recenti. Ovviamente, sappiamo bene che uno o più studi non possono dimostrare nulla**, mentre aprono nuovi scenari per la ricerca scientifica. Siamo, comunque, ben fiduciosi del metodo scientifico di approssimazione alla “realtà”, e restiamo in attesa di evidenze robuste e concordanti. Nel frattempo, però, non sarà un male per la salute se riduciamo il consumo di proteine animali in favore di quelle vegetali.
*Ad esempio:
- per i carboidrati, sono migliori gli zuccheri complessi (amidi) rispetto a quelli semplici; per i lipidi (detti anche grassi), sono migliori i mono o poli-insaturi rispetto a quelli saturi; per le proteine, sono pregiate quelle ricche di aminoacidi essenziali
**In particolare quando gli studi sono “osservazionali” o di “base” come quelli su modello-animale.
Bibliografia
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