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I pensieri dell'Altrove

Io me lo ricordo, quando sono nata

Le cose passate magari non le guardi solo con gli occhi, ma alcune te le fissi nell'anima e sulla pelle, e te le porti appresso come la forma degli occhi o la firma del carattere

Io me lo ricordo, quando sono nata

Io me lo ricordo, quando sono nata. Me lo ricordo il freddo che faceva, mica solo per colpa di quella famosa nevicata che poi c'hanno fatto pure le canzoni, no, faceva freddo perché io lo sapevo che dopo diciannove giorni potevo già morire. Così mi preparavo. Sono una che alle cose ci arriva sempre con l'ansia dell'anticipo, come agli appuntamenti, o come quando sento che mi sta arrivando una bella cosa, oppure quando mi sveglio e già alle quattro di mattina so che sarà sicuramente una pessima giornata. Quindi, appena nata, sentivo freddo e non avevo fame. Mia mamma ci provava ad allattarmi, ma non si è mai capito bene se ad un certo punto a mia madre è venuto a mancare il latte o ero io che non succhiando con energia ho contribuito a farglielo andare via. La cosa certa è che dopo diciannove giorni, nonostante tutte le cure amorevoli, ho ricevuto un battesimo, come dire, d'emergenza. Ero senza troppe forze, mi ero appoggiata alla vita come tutta quella neve si era appoggiata silenziosa e indifferente alla terra. Certo che nascere e quasi morire in uno sputo di tempo deve essere qualcosa di potente e strano perché poi ti si imprime dentro e ti fa percepire la tua vita appena un po' diversa, non fosse altro perché spesso la cosa ti viene ricordata. Ti fa tenere presente che c'è sempre una maglia larga anarchica in una rete che pare strettissima, ma che sfugge al controllo del programmato, dello scontato, del certo. Ti ricorda che gli appuntamenti vale la pena non saltarli, hai visto mai sia quello che ti cambia una giornata, un'idea, una mezza vita e che, in una terra che pare di nessuno, si sviluppano certe trame invisibili a cui bisogna dare ascolto, poiché hanno tutte una destinazione ed una appartenenza. A darmi latte che mi rimise in corsa fu la cara zia Nella, una mamma che aveva partorito un bambino dopo solo quindici giorni dalla mia nascita. Poi ci furono le consulenze, i medici e i robusti ricostituenti che contribuirono a dare la spinta all'entusiasmo della crescita, tanto da festeggiare con un secondo battesimo, giusto per dimenticarci completamente di quello precedente, quello che mi avrebbe evitato l'imbarazzo della residenza in un anonimo limbo. Mi ricordo pure di questo, perchè le cose passate magari non le guardi solo con gli occhi, ma alcune te le fissi nell'anima e sulla pelle, e te le porti appresso come la forma degli occhi o la firma del carattere. Mi ricordo tutto, dalle scarpette alte per i primi passi alle cuffiette morbide, dai brutti sogni alla salvezza delle carezze. Di tutti quei Natali con il capitone e gli spaghetti, la prima stanzetta tutta per me e per mia sorella. E quante canzoni in quella stanza in compagnia del "mangia nastri", dei cioccolatini nascosti in un cassetto, gli esercizi di algebra che non capivo mai, le persone che non si facevano capire mai. Quanti passaggi. Molte partenze e pochi ritorni, tante piccole morti con il bonus di tante resurrezioni. Per ognuno, nella vita, c'è la propria consistente quota di malesseri e in ogni nuovo dolore ti senti spiata da tutti quelli precedenti, perchè non ce la fanno proprio, quelli vecchi, a non venire a darti fastidio. Come nuvola che chiama nuvola, fatica che chiama fatica, respiro che insegue respiro. Tutto ritorna, come un inizio vecchio e qualche fine che invece può sembrare nuova. In una canzone che ho amato molto ad un certo punto il testo dice che "Si muore un po' per poter vivere". Ecco, questo io lo avevo intuito già, quando sono nata. Per tutto il resto avevo ancora tempo.

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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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