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I pensieri dell'Altrove

Ci vuole testa, anche per tenersela sul collo

Ed ecco spiegato perché il cuore la teme così tanto che spesso la evita, o fa finta di farle sgambetti.

Ci vuole testa, anche per tenersela sul collo

Me la porto addosso, questa testa elettrica e accelerata, con una congestione di pensieri come un fine settimana in centro con le vetrine di Natale. Me la porto appresso, non mi vuole lasciare dopo anni di convivenza strettissima e litigiosa, dopo che ci siamo abbandonate e poi riprese, tradite e perdonate e poi accusate ancora. Sono ingombranti le teste degli uomini, sembrano valigie strapiene e senza rotelle, quelle che una volta si portavano a mano e ti stiravano il braccio fino a fargli male, un unicum fra le dita anchilosate fuori ed il pigiama arrotolato dentro. Sono complicate le teste degli uomini, a volte pensano una cosa intensamente, ma poi se ne fa un'altra sconosciuta fino a cinque secondi prima; ci suggeriscono comportamenti corretti che noi ci divertiamo a rendere scomposti, ci impartiscono regole, ma che umani saremmo se non le infrangessimo con un misto di compiacimento infantile o disobbedienza spinta? Attraverso le vie nervose e le arterie accese della testa possiamo sentire le voci di dentro, elaboriamo le situazioni, decidiamo, ci muoviamo. E tutto parte da questa magia compressa e ancora misteriosa, unica per ognuno, da questa instancabile scommessa fra la sensibilità e la razionalità, le emozioni e la freddezza delle spiegazioni. Un flusso ininterrotto di energia, una scia di gioia violenta e una di sgomento deprimente, un momento di nebbia che ti copre la strada e una carezza fresca di neve che ripulisce l'aria. Un meccanismo che qualche volte si inceppa, va in corto circuito, partorisce incubi che si intrecciano stretti ai fili storti del male. Una matassa di dolore cattivo, senza coscienza sana, impietoso come una bestia maltrattata, addestrata unicamente alla violenza e all'aggressione, una bestia che conosce solo l'odore del sangue e della sopraffazione. Così esplodono ferite infette, forse vecchie, forse non curate, forse cresciute sotto una vena che ha scavato le ossa, e sputano intorno schizzi di veleno che fa morire, che uccide, che distrugge. Il peggio che può produrre la testa é la perdita della consapevolezza innocente e lucida perché, appena oltre, si sveglia la materia folle. Quel luogo che ha un bordo sottile, il canto sinistro delle sirene, il senso dell'impossibile che corteggia con adulazione le resistenze fiacche. Fa paura la testa quando non ci protegge più e ci butta nel buco scuro, fa impressione quando ci lascia le mani e se ne va per conto suo per chissà dove. Per esempio in un inferno di delirio e di fame di morte, per esempio in un ospedale dove invece di fare il medico, un 'medico' applica il suo 'metodo Cazzaniga', cioè decide come un dio onnipotente e impunibile la fine di una, due, più vite. Per esempio, sempre in quell'ospedale, una infermiera amante del dio della morte che cade in un frana di corruzione morale e somministra ad un bambino di undici anni gocce e pillole per farlo dormire, e una mattina il bambino piangendo le dice 'basta gocce mamma, sto male, non riesco più ad alzarmi dal letto '.. La testa. Un patrimonio privato inestimabile che produce danni pubblici devastanti. La testa. La compagnia migliore per se stessi quando è in salute e in pace con se stessa. La testa. La grande bellezza intellettiva che tutela e smista le relazioni, i comportamenti, i conflitti e le regole. Avere la testa, senza testa, bella testa, testa calda, è una questione di testa. Ecco perché pesa tanto, perché le schermature non le servono, perché non ha competitors equivalenti. Ed ecco spiegato perché il cuore la teme così tanto che spesso la evita, o fa finta di farle sgambetti. Si sopportano, su un terreno condiviso di sì e di no, di adesso o mai più, di resistenze e di fallimenti. Un terreno in assetto variabile, in un intreccio costante di lucidità e sbandamenti, sotto un cielo che ha visto disfatte e giorni salubri con tracce di impegnativo coraggio, noi, per tutto il tempo, ci dovremmo solo aiutare a resistere.

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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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