I pensieri dell'altrove
05.08.2018 - 10:28
Bambini per strada a Venosa (da: Jerry Whiting - foto 485th BG)
Il latte: l"alimento più evocativo che c'è. Dalla bocca piena del mio nipotino dopo una poppata sazia, al ricordo lontano di una bottega a Venosa, il paese di mamma dove si andava in estate: il caldo e le rondini, così tante che erano onde, la pietra grande dove ci si sedeva al tramonto guardando di fronte il piccolo ospedale, una fontanella a pochi metri da casa. Alle 19,00 di ogni sera, quando le campane della Chiesa di Sant'Andrea suonavano per non so che cosa, nonna mi dava una bottiglia di vetro, si raccomandava che non la facessi cadere e mi dava pochi spiccioli di lire per un litro di latte. Il "negozio" era una stanza piccola, c'erano i bidoni pieni, il profumo umido del latte fresco che non ho più scordato, la fila delle persone con in mano le bottiglie e la consapevolezza che quell'appuntamento serale fosse un atto di sentimento collettivo, un'emozione primitiva, orgogliosamente rurale. Un incontro con il sapore contadino, sano, non manipolato. Ogni sera mi riconoscevano e mi facevano passare, ero una bambina, ero la nipote forestiera di "zia marietta" e la figlia grande di Adele. Ogni sera segnavo il tempo insieme al volo di decine di rondini, camminavo piano, stretta alla mia bottiglia di vetro chiaro ed all'appuntamento con il mio sorso d'acqua alla fontanella. Sentivo i miei passi sulle pietre grandi e chiare della strada, le voci degli anziani seduti accanto alle porte con le tendine bianche ricamate, cacciavano le mosche e la fatica con le chiacchiere colorate di crepuscolo caldo. Il mio ritorno a casa era sempre vicino, c'era nonna che sulla porta aspettava me e la bottiglia integra, si alzava dalla pietra grande e risaliva le scale. Poi, il pane fatto in casa conservato nella madia di legno scuro, l'odore un po' acre del lievito madre sempre pronto in un piattino coperto da un tovagliolo, il pentolino pronto per far bollire il latte e la panna. Quella grassa panna naturale che veniva su densa, proprio sul bordo, e che era così buona e così bollente da farmi bruciare la bocca ma io non me ne accorgevo. Ero, credo, inavvertitamente felice. Tanto che qualcosa me la ricordo ancora. Il latte, la bottiglia, i soldini, il profumo, i sandaletti, le rondini, la casa antica. Il dialetto diverso, il letto scomodo, le scale di legno consumato, il profumo di vino nelle cantine con le grate affogate di polvere che sembrava secolare. E la pietra grande accanto alla porta, il lievito nella madia, lo zucchero sul pane bagnato, le posate nel cassetto sotto al tavolo, le campane nell'aria ferma nella mia terra straniera. Gli occhi azzurri severi di nonna. La mia età insicura e curiosa. La bellezza di mamma a Venosa.
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