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A un passo dal vero

Il corpo di Isabella: romanzo a puntate di Lorenza Colicigno

Nessun indiziato, quindi semplici inviti a recarsi in commissariato a Potenza

Il corpo di Isabella

La poetessa Isabella Morra, uccisa a 26 anni

“I fieri assalti di crudel Fortuna/scrivo, piangendo la mia verde etate,/me che 'n si vili ed orride contrate/spendo il mio tempo senza loda alcuna.”, dall’altro i versi che Isabella seconda aveva inviato al fratello: “Non tarderà l’angoscia a trasparire/fuor dai miei occhi, ch’ora son già spenti/…/la carne mia legata al tuo destino//brucia d’ardore e insieme di tal pena/che …//Non lascerò mie pene fino a quando/il mondo non saprà di mia sventura;/…/di lieti giorni mai potrò godere//se tu non mi darai alfine ascolto/e di vendetta giurerai …..”.

La scena era completamente cambiata. Adele, non convinta dei risultati della prima autopsia, su pressione dei familiari, non meno che sulla pressione dei media, e d’accordo con la medico legale già consultata, aveva richiesto un esame più approfondito, prima che il corpo fosse tumulato. Era stato chiamato l’anatomo patologo Palmieri, figura di spicco del mondo della medicina legale, che impiegò qualche giorno per il verdetto finale. Il nuovo referto era chiaro e in chiara contraddizione con il primo. Isabella era morta a causa di un “colpo inferto alla tempia sinistra con un oggetto dotato di spigolo. Non erano rilevabili altri segni di violenza sul corpo. Un frammento di carta, quasi un coriandolo, senza alcun segno, era tra due dita – il medio e l’indice - della mano sinistra chiusa a pugno…”. Il nuovo referto, dunque, aveva reso definitivamente inconciliabile la realtà con l’idea di una morte accidentale, confermando i sospetti di Adele, il corpo di Isabella, infatti, era stato trovato riverso su uno dei gradini della scala che conduce al castello con il volto rivolto verso destra. A meno che qualcuno non le avesse girato il capo, non era possibile che la ferita provocata dal presunto impatto con il gradino si trovasse sulla tempia sinistra. Il colpo ricevuto aveva provocato una piccola lesione superficiale, ciò spiegava la ridotta presenza di sangue sulla scena, la morte era sopraggiunta in seguito ad abbondante emorragia interna. Parole che avevano posto definitivamente fine all’idea, comunque ben poco consolatoria per i familiari, che Isabella fosse morta accidentalmente, e avevano aperto uno scenario inquietante nella comunità del borgo lucano.

Una situazione delicata, molto delicata – pensò Adele, alla quale non era di certo sfuggito che la “comunità” aveva ben poco partecipato al lutto della famiglia di Isabella seconda.

Era un indizio? Certo, dopo il primo impatto con la notizia della morte violenta, la curiosità aveva lasciato il posto alla cautela e in molti si erano recati, diciamo alla spicciolata, a fare le condoglianze alla famiglia. I fratelli erano tornati ai loro studi e nel castello regnava un silenzio  interrotto a tratti da singhiozzi trattenuti, che l’eco, o l’immaginazione, rilanciavano verso il basso.

Erano trascorsi ormai 15 giorni dal funerale, il palazzo era stato perquisito da cima a fondo, erano state sentite molte persone, le amiche, davvero poche (due) di Isabella, i conoscenti della famiglia, anch’essi pochi, era come se il castello avesse messo un confine quasi invalicabile tra il borgo e la famiglia Costa. C’erano ancora persone da sentire, ma non era ancora stato possibile farlo, chi era all’estero, chi era ammalato, motivi per i quali le convocazioni erano state rimandate di qualche giorno. Nessun indiziato, quindi semplici inviti a recarsi in commissariato a Potenza. Tutte le carte della biblioteca erano state analizzate per capire con cosa avesse a che fare quel piccolo pezzo di carta stretto nel pugno di Isabella. Stessa cosa era stata fatta con le carte sparse sulla scrivania e dentro i cassetti, doveva pur appartenere ad un foglio quel pezzetto di carta che ora era custodito gelosamente nella mente di Adele, oltre che, ovviamente, tra gli oggetti requisiti. C’era ancora molto da scoprire, ma dove? Chi poteva sapere? Quando la madre l’aveva chiamata il giorno dopo le confidenze del figlio, nella mente di Adele – ma non lo avrebbe confessato a nessuno -, tra un verbale e un ordine di servizio, tra un sonno e una veglia, passavano come su un rullo, anzi, come su due rulli, da un lato i versi di Isabella prima: “I fieri assalti di crudel Fortuna/scrivo, piangendo la mia verde etate,/me che 'n si vili ed orride contrate/spendo il mio tempo senza loda alcuna.”, dall’altro i versi che Isabella seconda aveva inviato al fratello: “Non tarderà l’angoscia a trasparire/fuor dai miei occhi, ch’ora son già spenti/…/la carne mia legata al tuo destino//brucia d’ardore e insieme di tal pena/che …//Non lascerò mie pene fino a quando/il mondo non saprà di mia sventura;/…/di lieti giorni mai potrò godere//se tu non mi darai alfine ascolto/e di vendetta giurerai …..”.

Conseguenza: la telefonata a Giustina.

Giustina Pirandello le aveva chiesto un tempo ragionevole. Anche per lei, acclamata da tutti come un vero segugio degli archivi, era necessario un tempo non determinabile per indagare con attenzione.

- Le parole – le aveva detto Giustina -  sono un strada scivolosa da percorrere, ma tu lo sai…

- Certo…- rispose Adele – ma so anche che non ti arrendi facilmente al rischio degli scivoloni, in questo siamo uguali, no?

 

Decidere se quei versi fossero di Isabella prima o di Isabella seconda richiedeva un’indagine filologica e documentale accurata. Giustina era già al lavoro, stava consultando scartafacci negli archivi parigini. A Parigi si era recata dalla sede universitaria di Rennes, per un progetto, guarda caso, sulle relazioni epistolari tra le corti italiane del Rinascimento e la corte di Francia. Era uno spunto interessante, quello che le aveva offerto Adele. Ne sarebbe stata felice, se non ci fosse stato un delitto all’origine della sua richiesta.

I rulli stavano passando inesorabili, intralciando quel tanto che bastava il paesaggio della Val d’Agri, quando giunse ad Adele la telefonata della signora Costa. Si era fermata in una piazzola di sosta per poter parlare agevolmente. Aveva preso il taccuino per scrivere poche parole, poi aveva ripreso il viaggio.

Il dottore, il proprietario del castello, dopo la morte della madre, non si vedeva quasi più, viveva a Potenza tra un viaggio e l’altro, e se n’era ormai quasi dimenticato della bella dimora di Valsinni. Ma quando tornava era una festa per il palazzo, si aprivano le stanze di sopra, entrava aria, il giardino vociava, la cima del monte Coppolo si riempiva di escursionisti più o meno romantici, il dottore ci portava i suoi amici, patiti della poetessa, da tutto il mondo. Isabella Morra, dicevano, era lì la padrona che non era mai stata. E anche per Adele seconda erano sempre state una festa quelle visite, diventava una guida appassionata, oltre che competente.

Il dottore, mortificato, aveva telefonato che era in arrivo un pullman da Avellino, di togliere i fogli mortuari, per non turbare gli ospiti, sperava che capissero, ed eseguissero.

Il signor Costa non aveva né saputo né voluto dire di no, dimenticare che Isabella era morta era la cosa che desiderava di più, pensarla in viaggio, o magari residente a Potenza, come quando frequentava il Liceo. Un inganno che quell’annuncio svelava ogni volta che usciva fuori del palazzo, e ogni volta era come saperlo di nuovo, la prima volta.

- Bene – pensò Adele, che aveva tentato inutilmente di sentirlo, il dottore, all’estero per motivi di lavoro – una buona occasione per conoscerlo, il dottore!

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