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L'analisi

Buoni esempi di partecipazione: il Gruppo lucano di Protezione civile

«Brillante esempio di coesione sociale, espressione di quel fervore, di quel fermento e impulso d’innovazione che ha permeato da sempre il popolo lucano

Buoni esempi di partecipazione: il Gruppo lucano di Protezione civile

In una regione come la Basilicata, caratterizzata, da un preoccupante andamento demografico connotato da una sempre più crescente emigrazione giovanile (in merito gli ultimi dati Svimez risultano sconfortanti!), con una sempre maggiore riduzione delle classi scolastiche (all’inizio dell’anno scolastico circa duemila bambini in meno si sono iscritti alle scuole lucane!), solo la
capacità di fare resilienza può accendere una piccola speranza contro il pericolo ormai concreto del declino della comunità lucana!
Come “La Ginestra o il fiore del deserto” di Giacomo Leopardi riesce a crescere anche negli ecosistemi più svantaggiati, sulle pendici dei vulcani e nonostante la lava bruci e desertifichi, a rinascere con i suoi fiori gialli dal profumo intenso, così, soltanto attraverso la capacità di cooperazione e attraverso il sostegno di una rete sociale, è possibile superare le difficoltà derivanti
da un retroterra culturale, sociale e demografico svantaggiato, quale quello lucano.
In una regione che continua a essere connotata da scelte politiche caratterizzate da una distribuzione particolaristica delle risorse pubbliche, esiste un modello che va oltre l’associazionismo, fondato sul protagonismo delle comunità, un modello bottom-up caratterizzato da una rete orizzontale di circa cento comunità con 6000 volontari che agiscono nel campo della previsione, prevenzione, protezione e diffusione della cultura della resilienza! Si tratta del Gruppo Lucano di Protezione civile preceduto ormai da fama di livello nazionale e internazionale. Quasi inconsapevolmente, circa 25 anni fa, un gruppo di giovani, sotto l'impronta di Giuseppe Priore, che per molti anni ha ricoperto la carica di Presidente del Gruppo, in un piccolo paese
lucano, Viggiano, cominciò a praticare la cultura della resilienza ponendo in essere sempre nuove e stimolanti attività per la difesa del territorio lucano e a poco a poco ad intessere relazioni a livello locale, regionale, interregionale e finanche a livello internazionale arrivando ad interloquire con le Nazioni Unite. La resilienza, questo concetto entrato a pieno titolo nel nuovo codice della protezione civile di recente pubblicazione (DLGS. 2 gennaio 2018, n. 1), non è soltanto reazione ai disastri ambientali o antropici, ma resilienza è perseveranza, è previsione e prevenzione, è capacità di pensare utilità
per la comunità, è attrezzarsi per non ripetere i propri errori è riconoscimento della propria identità ed è inevitabilmente la premessa per lo sviluppo sostenibile. Su questi temi il Gruppo Lucano da anni promuove un’incessante attività di formazione – informazione di volontari, cittadini e giovani, attuando altresì scambi e mobilità internazionale di vari gruppi studenteschi e
non. Numerosissime sono ormai le convenzioni sottoscritte con importanti enti pubblici e privati di livello regionale, nazionale e internazionale dal Gruppo Lucano tese a cooptare sempre maggiori risorse per promuovere le iniziative volte a fornire contributi sia in termini di logistica che di risorse umane, nonché di variegate professionalità e, molteplici, sono le missioni in cui una così
ben strutturata organizzazione ha avuto modo di dispiegare le proprie forze: la missione Arcobaleno in Albania, la missione in Molise per il sisma del 1999, non ultima la missione a L’Aquila nell’Aprile del 2009, in cui il Gruppo Lucano si è reso protagonista dell’allestimento e gestione di un campo sfollati mettendo a disposizione sin dalle 24 ore successive al sisma i suoi
volontari, i suoi mezzi, la sua forza lavoro per l’accoglienza di centinaia di persone.
E’ allora è proprio il caso di sottolineare, benché spesso i governi locali tendano a dimenticarlo, come il processo bottom-up caratteristico del modello lucano di protezione civile, si contrapponga alla chiusura e all’immobilismo di cui da anni è stata tacciata la società lucana, perché detto modello è caratterizzato dalla capacità delle comunità locali di diventare propositori attivi e informati di soluzioni politiche ai problemi della propria area. Ciò è possibile in quanto la resilienza, investe numerosi settori della vita delle comunità, ossia istituzioni, società civile e settore privato e riguarda numerosi aspetti delle stesse: ambientale, sociale, economico, culturale e avviluppa le proprie radici grazie alla continua attività di formazione gestita direttamente dal
Gruppo Lucano e indirizzata sia ai propri componenti sia alla società civile.
Così, si potrebbe dire che questo brillante esempio di coesione sociale, è espressione di quel fervore, di quel fermento e impulso d’innovazione che ha permeato da sempre il popolo lucano secondo la illuminante ricostruzione storica, sociologica e antropologica effettuata dal professore Enzo Alliegro dell’Università Federico II di Napoli, nella raccolta di saggi contenuta nel volume dal titolo “Terraferma” di recente pubblicazione (Rubettino edizioni, aprile 2019), la quale si contrappone
invece alla Lucania descritta da Carlo Levi nel suo “Cristo si è fermato ad Eboli”, quale terra di rassegnazione, malinconia, apatia, quale terra immobile. Ciò è ancor più vero se si considera il fatto che il Gruppo Lucano per costruire il proprio modello
ormai legittimato dai riconoscimenti internazionali ricevuti (tra i più importanti quello conferito alla città di Viggiano, in quanto sede del Gruppo Lucano, a Sendai, quale modello di resilienza qualche anno fa), ha saputo coniugare alcune caratteristiche specifiche della struttura sociale della Lucania, come il forte senso di emulazione, il forte patrimonio culturale comune, la scarsità della popolazione che consente lo sviluppo di una forte comunicazione interpersonale, la mancanza di risorse economiche che genera la necessità di cooperare per costruire resilienza ai disastri, la forte solidarietà, necessaria per superare le limitazioni derivanti dalla vecchia cultura contadina. In conclusione c’è da augurarsi che gli esempi, i casi virtuosi di partecipazione sociale attiva in Basilicata siano in grado di moltiplicarsi, perché soltanto con un’efficace azione di coesione sociale che possa condurre alla costruzione di una rete che crei legami territoriali sempre più ampi e solidi; soltanto attraverso la creazione di modelli dal basso, che possano portare al superamento dei campanilismi più resistenti e radicati in una società a tendenza tradizionalista, come quella lucana; in definitiva, soltanto con esempi positivi di cooperazione e solidarietà, nonché professionalità nella previsione e intervento nelle situazioni emergenziali come nei diversi ambiti della vita della collettività, potrà germogliare quello scatto di orgoglio, di sano orgoglio lucano, che non è sconosciuto alla nostra gente, come siamo ben felici di aver avuto modo di scoprire, quell’orgoglio necessario affinché possano avviluppare sul nostro territorio processi evolutivi e di trasformazione che diano vita nella nostra regione ad una auspicabile transizione verso uno sviluppo umano sostenibile.

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