STORIE DI VOLONTARI LUCANI/2
09.04.2020 - 14:49
Direttore della Caritas Diocesana di Acerenza, Don Antonio Romano
«Che Dio ci doni l'amore per condividere il pane, il nostro pane quotidiano e la dignità del lavoro ad ogni uomo e ad ogni donna», così affermava Papa Francesco nel suo discorso per l’inaugurazione dell’Expo di Milano che solo 5 anni dopo, da capitale del mondo è divenuta uno dei centri più colpiti dell’emergenza Coronavirus. Pane, lavoro e dignità sono da sempre il fulcro dell’azione della Caritas italiana e dei suoi uffici diocesani, come quello della Diocesi di Acerenza che conta circa 40.650 abitanti suddivisi in diciassette paesi e ventuno parrocchie. Don Antonio Romano è un giovane sacerdote che, oltre ad occuparsi della sua parrocchia di San Giorgio martire di Pietragalla, amministra come direttore la Caritas diocesana di Acerenza. «I nostri uffici si sono attivati subito per far fronte all’emergenza – afferma don Antonio - abbiamo realizzato un video e diffuso una brochure con tutte le regole da adottare in questo momento. Ogni parrocchia ha un centro d’ascolto, il primo problema è stato proprio comprendere se fosse possibile continuare a tenerli aperti. Questi centri sono per alcuni un riparo sicuro, un luogo dove condividere le paure e i problemi. Si è creata subito una rete tra amministrazione comunali, Protezione civile e Croce rossa. La distribuzione dei pacchi viveri è per noi una costante, molti sindaci ci hanno coinvolto direttamente “sfruttando” le competenze che abbiamo acquisito negli anni sul campo».
Come sono stati i primi giorni, come vi siete attivati?
«È stato complicato, ma siamo abituati a dare sostegno e ci siamo coordinati subito. Abbiamo fatto richiesta di un contributo straordinario alla Caritas nazionale che abbiamo distribuito a sostegno di tutte le parrocchie, abbiamo rimpinguato i centri parrocchiali con derrate alimentari che avevamo in magazzino».
Questi giorni complicati hanno però visto una importante ondata di solidarietà. Anche la Caritas ha avuto la fortuna di avere delle donazioni spontanee?
«Siamo riusciti ad avere una fornitura di liquidi igienizzanti grazie ad una azienda di Trivigno scalo che si è messa a disposizione di tutta la diocesi, Marino Michele già nella prima settimana mi chiamò per darmi la sua disponibilità a fare in modo che ogni parrocchia si recasse nella sua azienda per fornirsi del prodotto. È stato un grande aiuto per tutte le Protezione civili e Croce rossa che hanno potuto fornirsi anch’essi. Aspettiamo l’arrivo di 500 mascherine all’inizio della prossima settimana, avremo inoltre in questo periodo una donazione gratuita di colombe pasquali».
La rete in questa situazione di emergenza è stata fondamentale. Come procede la sinergia con le altre associazioni di volontariato?
«Noi della Caritas facciamo rete sempre. Subito dopo l’approvazione del decreto “Cura Italia” siamo stati chiamati in prima linea perché durante tutto l’anno siamo noi ad occuparci delle famiglie bisognose, abbiamo cercato di dare dei consigli pratici per la realizzazione di pacchi viveri e per i buoni spesa».
Come direttore della Caritas, cosa ne pensa delle direttive del Governo in particolare del decreto in riferimento soprattutto alle persone più svantaggiate, che sono il “pane quotidiano” del vostro ufficio?
«Il Governo, sollecitato dalle amministrazioni e dagli enti del terzo settore, sta cercando di tamponare l’emergenza. Ma sappiamo bene che è solo una misura tampone, che sarà attiva per pochi mesi. Attendiamo nuovi provvedimenti. Il mio pensiero va spesso a chi per esigenza seppur venendo meno alle regole, è stato costretto a lavorare in nero. Ora non hanno più nemmeno quella liquidità. C’è bisogno di misure importanti, dobbiamo stare vicino a chi più ha bisogno».
Molte persone si recano nei centri d’ascolto per parlare e trovare un conforto. Come state svolgendo questa attività al momento?
«Le mie collaboratrici contattano quasi ogni giorno i responsabili Caritas parrocchiali, per fare il punto della situazione. Ogni gruppo d’ascolto cerca di tenersi in stretta connessione con le famiglie e i singoli che hanno più bisogno, molte sono le chiamate, le video chiamate che ricevono. È fondamentale il lavoro di questi volontari che mettono da parte la propria vita e la propria famiglia per la cura degli altri, 365 giorni l’anno».
Da sacerdote, qual è il messaggio che vuole lasciare a chi legge?
«Questa frase la sto ripetendo spesso nelle messe in streaming di questo ultimo mese, è una frase tratta da un messaggio che i vescovi italiani avevano realizzato per il mondo del lavoro: siamo chiamati a seminare la speranza. Per noi cristiani in questo momento vuol dire attendere, con il cuore pieno di gioia, la speranza che è Gesù Cristo. Siamo chiamati a seminare la speranza che ognuno di noi deve dare nei confronti del suo fratello, una chiamata al vicino di casa, un “buongiorno” dalla finestra, per far capire che ci siamo».
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