Analisi
09.11.2020 - 18:19
Trump al campo da golf in Virginia, i pianti e le urla di gioia per le strade di New York. Questo è più o meno lo scenario in cui è stata annunciata la vittoria di Joe Biden, emblematica di un’America che si è svegliata diversa, democratica dopo quattro anni dall’elezione del tycoon Donald Trump. La notizia è arrivata alle ore 12 di sabato, circa, ora americana, ed è stata ufficializzata dai principali network degli Usa: Joe Biden è il quarantaseiesimo presidente degli Stati Uniti d’America e Kamala Harris la prima donna vicepresidente nella storia a stelle e strisce. Dopo giorni di conteggi e polemiche, la Pennsylvania ha consentito a Biden di aggiudicarsi più di 270 grandi elettori, staccando in maniera non recuperabile il suo avversario. Rispetto a Clinton, suo predecessore, infatti, ha guadagnato Michigan, Wisconsin e Pennsylvania, tutti Stati del Midwest dove l’ex segretario di Stato non era riuscita a conquistare l’elettorato.
Passata l’ubriacatura iniziale per la vittoria, occorre interrogarsi su chi sia il nuovo presidente degli Stati Uniti e cosa lo abbia portato alla vittoria. Biden ha conquistato la fiducia di un maggior numero di elettori bianchi rispetto a Hillary Clinton, togliendone molti all’avversario Trump. Oltre 76 milioni di americani hanno espresso la loro fiducia rendendolo uno dei candidati più votati della storia americana. 78 anni a breve, indole apparentemente mite, nato in Pennsylvania e cresciuto in Delaware per il quale ha ricoperto il ruolo di senatore per 36 anni, con un passato e un vissuto personale non esenti da difficoltà e una storia politica altrettanto ricca. Criticato dall’ala più estrema della sinistra che vedeva in Bernie Sanders l’unica alternativa possibile, Joe Biden ha avuto, dopo la vittoria alle primarie, l’endorsment anche da quest’ultima, unita per vincere le elezioni. Una mossa vincente, poi: ha scelto di farsi accompagnare in questo percorso da una donna, la prima senatrice asio-americana con una carriera ineccepibile da procuratrice distrettuale, e non bianca. Solitamente la scelta del vicepresidente non è un fattore determinante per la vittoria di un candidato, ma non è da escludere che la scelta di Harris abbia in qualche modo orientato una parte dell’elettorato in direzione democratica.
Perché Biden ha vinto? Avrebbe vinto anche se l’avversario non fosse stato Donald Trump? Chi può dirlo. Le elezioni americani sono ad ogni tornata diverse, presentano sempre un margine di incertezza sia nelle previsioni che nei sondaggi. Costituiscono di volta in volta un appuntamento con la storia. Per le elezioni del 2020 si immaginava che sarebbero state ancora più particolari, in un’America sconvolta e ferita dalla pandemia e travolta da Black live matters. Dire che questi elementi non abbiano influito sulla vittoria di Joe Biden sarebbe una scorrettezza, per mesi Donald Trump ha nascosto e cercato di minimizzare sia la gravità del virus, sia delle sue conseguenze invitando gli Americani a proseguire normalmente con la loro vita, e lo ha fatto anche quando è stato colpito lui stesso dalla malattia, continuando a ignorare la condizione di disagio delle classi sociali meno agiate, le più colpite dalla pandemia. Così come non si può ignorare la presa di coscienza dei tanti che si sono riversati negli ultimi mesi nelle strade per denunciare il razzismo sistemico ai danni degli afroamericani.
Dai sondaggi è emerso che, tuttavia, la principale preoccupazione degli elettori è l’economia. Un’economia che sta reggendo ai colpi inferti dal Covid-19. D’altronde gli Usa, si sa, non vogliono rinunciare al loro essere “una superpotenza”. E allora perché la gente ha votato Biden se l’economia non è crollata in questo nefasto 2020? Gli americani hanno accordato la loro fiducia a Biden perché non ha cercato di edulcorare la verità sull’America, formulando racconti e teorie fantasiose sul virus, sulla sua origine e su presunti complotti provenienti dall’est, hanno votato un candidato che è entrato in politica non ancora trentenne, che ha servito il Paese da vicepresidente per due mandati accanto a Obama che lo ha ritenuto un elemento imprescindibile e insostituibile per la sua squadra, per il quale ha rappresentato un consigliere fidato, un amico, un politico accorto, progressista (per certi aspetti anche più di Obama) e al contempo cauto. Un uomo che ha promesso di essere il presidente di tutti gli Americani e di guidarli fuori dal periodo buio che stanno vivendo. L’elettorato si è trovato così a scegliere tra Biden e Trump noto per il fare sprezzante, il cui linguaggio è spesso stato criticato per essere offensivo, da bullo, sfacciato, volgare, accusato più volte di sessismo e razzismo. Ha scelto “Sleepy Joe” (come lo definiva il tycoon) che non è poi così sleepy (ndr addormentato, soporifero) e ha quattro anni di governo davanti a sé per dimostrare che sia il vero vincitore di queste elezioni e che Trump e il trumpismo sono stati sconfitti. Un’elezione in sé non può cancellare con un colpo di spugna anni di erosione dell’attività diplomatica degli Stati Uniti, i rapporti tesi con alcuni stati (Cina e Nord Corea per citarne alcuni), l’opera di discredito ai danni di organismi internazionali e le posizioni negazioniste rispetto a temi delicati di interesse globale come il cambiamento climatico.
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