Diritti umani
25.11.2020 - 10:32
“La Giornata Mondiale contro la Violenza di genere è stata istituita dall’Onu con la risoluzione 54/134 del 17 dicembre 1999”. “La matrice della violenza contro le donne è percepibile ancor oggi nella disuguaglianza dei rapporti tra uomini e donne, e la stessa Dichiarazione adottata dall’Assemblea Generale Onu parla di violenza contro le donne come di uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le stesse sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini”. Secondo l’analisi svolta da ActiondAid le chiamate al numero antiviolenza 1522 tra marzo e giugno 2020 sono state più di 15 mila, il 119,6% in più rispetto allo stesso periodo del 2019. Nell’ultimo anno i dati sono un susseguirsi di percentuali aggravate dalla solitudine e dalla chiusura sociale. Ma i segnali che indicano che una donna è vittima di violenza di genere non sono evidenti solo sul corpo. Esiste una silenziosa tortura che non mostra tracce fisiche ma è reale e dolorante alla stessa maniera: è la violenza psicologica. Se ne parla poco, e si fa fatica a riconoscerla anche per chi la subisce. Il suo potere è legato alla percezione. “L’assassino dell’anima” necessita di far credere ciò che meglio gli permette di raggiungere il suo scopo, soddisfare un’ossessione, sfamare una propria patologia di dominio e sottomissione. La manipolazione mentale è una modalità, utilizzata in modo subdolo, di indurre gli altri a compiere azioni o a dire cose diverse dalla propria volontà per soddisfare i propri bisogni anche a spese altrui. Ad esempio, se una richiesta esplicita non ha funzionato, il manipolatore potrebbe attuare una sorta di ricatto emotivo lanciando dei messaggi passivo-aggressivi apparentemente innocui: “Se mi volessi davvero bene, non faresti così” capaci di innescare nell’altra persona un senso di colpa che la spingerà a soddisfare la richiesta fatta. “Il manipolatore mentale, nel suo gioco perverso, di solito, procede seguendo delle tecniche analizzabili in fasi. La prima è la calibrazione nonché lo studio della vittima nei suoi gesti, posizioni, movimenti, interessi, fragilità, punti deboli. La seconda è il rispecchiamento in cui il manipolatore cerca di riprodurre gli stessi movimenti osservati, assumere lo stesso tono della voce e avvicinandosi in una falsa empatia alle fragilità e debolezze della vittima istaurando un rapporto di uguaglianza che porta a fidarsi dell’altro. La terza fase è il ricalco in cui il manipolatore attraverso nuove modalità controlla se “l’ingaggio” regge per poter iniziare a muoversi verso il suo scopo conducendo l’altra persona dove vuole, tramite frasi che esprimano sentimenti positivi, e che la invitino a sentirsi al sicuro e a lasciarsi andare. Le dimostrazioni di fiducia sono l’ennesimo inganno per ribadire: “Se io mi fido di te e tu puoi fidarti di me”. Il sentimento di reciprocità è così innescato e la relazione stabilita. In tal modo la complicità permetterà di far avanzare “l’assassino dell’anima” nelle sue richieste”. Con la menzogna il manipolatore travisa le situazioni a proprio favore finendo con il confondere la vittima designata. Ed è proprio la confusione una delle sensazioni predominanti che si trova a provare chi viene a contatto con un manipolatore. Sente di non comprendere la direzione migliore da intraprendere, cosa sia giusto fare, principalmente per paura di ricevere critiche e rappresaglie da parte dell’altro, soprattutto se l’altro fa leva sulla debolezza e sul bisogno di affetto e validazione della propria vittima. Se la violenza fisica si evidenza con lesioni e ferite, quella psicologica è più difficile da riconoscere. Silenziosa avanza giorno dopo giorno scavando sempre più nel profondo della vittima fino a cambiarle addirittura tratti di personalità. Guida lentamente verso la morte dell’anima e la vittima viene indotta a mettere in discussione sé stessa più che l’altro subentrando così una patologia definita come sindrome di Stoccolma per cui si prova un sentimento positivo nei confronti del proprio aggressore che può spingersi fino alla totale sottomissione volontaria, instaurando in questo modo una sorta di alleanza e solidarietà tra vittima e carnefice. Ciò porta, purtroppo, alla rinuncia di denuncia. Inoltre può capitare che il ruolo professionale del manipolatore diventi l’ennesimo mezzo per manipolare: come non fidarsi del medico, docente, dirigente, psicoterapeuta, a cui ci si affida?
Giustificare il male significa moltiplicarlo, ricordiamo che la violenza psicologica è reato, ma è ancor di più reato abusare del proprio ruolo professionale a maggior ragione se questo comporta una violazione del codice deontologico con la probabile conseguenza di radiazione dall’albo.
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