sanità
17.05.2022 - 10:45
Torino, Pronto soccorso "Maria Vittoria"
Poco o nulla è stato fatto in oltre due anni di pandemia e di emergenza perpetua. In un Paese dove la libertà di impresa e di movimento era condizionata dallo stato di stress delle strutture ospedaliere. Tra prima e seconda ondata invece di potenziare seriamente il Ssn si è preferito investire ingenti risorse sui monopattini. Arrivano quotidianamente da tutta Italia immagini drammatiche di pazienti abbandonati per giorni nei corridoi, su barelle talvolta non idonee, con poca assistenza e con un personale medico e infermieristico che fa quel che può. È recente il caso dell'Umberto I di Roma: «Donne che urlavano piene di dolori. Abbiamo chiesto delle barelle ma ci hanno detto che erano terminate». «L’ambulanza arriva al Pronto Soccorso dell’ospedale, il paziente è trasferito nel nosocomio sulla lettiga che era a bordo del mezzo e quest’ultima non torna più indietro. Diventa una barella aggiuntiva del presidio ospedaliero e può trascorrere anche un’ora o più prima che sia restituita all’equipaggio del 118. L’ambulanza resta in parcheggio all’esterno dell’ospedale e non può effettuare altri soccorsi. Accade di frequente ed è uno dei motivi – certo non l’unico – che determinano non di rado tempi d’intervento piuttosto lunghi per soccorrere persone che si siano infortunate od abbiano avuto un malore. I tempi di sbarellamento delle ambulanze nei vari Pronto Soccorso cittadini – scrive – evidenziano una drammatica situazione di intasamento, ormai generalizzata, con il blocco/sequestro dell’autolettiga e del mezzo di soccorso, che a volte dura per tutto il tempo necessario all’iter diagnostico terapeutico del paziente», denuncia un operatore del 118 a Napoli
È "la nuova idea di salute" decantata nell'operetta "Perchè Guariremo"?
«Abbiamo assoluto bisogno di risorse umane – ha spiegato De Iaco – Non riusciamo più a redigere nemmeno i piani ferie, perché non sappiamo come sostituire i colleghi. E quando ci riusciamo è solo al prezzo di un superlavoro obbligato per due settimane di riposo. Certo, ci fa piacere che il ministro Speranza ci dica ‘adesso si cambia’. Ma ci vuole tempo e noi abbiamo necessità di aiuto domani mattina. La situazione era già drammatica nel 2019. La pandemia ha esacerbato tutto, perché riducendo i posti letto per i pazienti non Covid ha provocato uno strozzamento. Noi ora alziamo le mani: stiamo gestendo servizi che non sono degni di questo nome». Come si è arrivati a questo punto? «Per troppo tempo sono stati commessi sempre gli stessi errori nella programmazione dei fabbisogni formativi. Poi ci è piombata addosso l’emergenza sanitaria. E purtroppo il lavoro in pronto soccorso non è più attrattivo da nessun punto di vista, né economico né professionale. All’ultimo concorso di 1.152 borse approvate e finanziate per la specializzazione ben 626 sono state rifiutate. Noi sono anni che stringiamo i denti. Cosa possiamo fare quando abbiamo 30-40 pazienti che aspettano giorni per essere ricoverati? Bisogna reclutare medici attingendo alle scuole di specializzazione. E subito». Secondo De Iaco va anche «riformato profondamente il sistema del 118, che adesso opera in convenzione. Integriamolo con il Pronto soccorso, diamo anche a questi operatori il profilo di dirigenti medici, per rendere concreta la loro figura, che oggi non ha una identità professionale. Poi è necessario prevedere una contrattazione diversa rispetto a tutti gli altri specialisti. Questo perché l’intensità del lavoro e il livello di usura di questi medici, con effetti disastrosi sulla vita privata, non sono paragonabili a quelli dei colleghi degli altri reparti ospedalieri».
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