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Ultimo Tango a Parigi o dell'amore di Bernardo Bertolucci per Marlon Brando

Ultimo Tango a Parigi o dell'amore di Bernardo Bertolucci per Marlon Brando

“Ultimo tango a Parigi" è un film di cui si dovrà scrivere ancora, ed è anche il film meno indicativo di tutta la carriera artistica di Bernardo Bertolucci, perché al di là delle polemiche che suscitò, e del successo enorme che ebbe, anche in termini economici, serve comprendere bene chi fosse Marlon Brando, per capirlo e riscriverne la genesi. Marlon Brando definì il film, dal primo all'ultimo frammento, senza che Bernardo Bertolucci lo frenasse, e in questo fu aiutato da Vittorio Storaro che riuscì a trasformare la massa corporea di Brando in luce e in azione.
A cinquanta anni dall'uscita del film, e dopo la morte di Bertolucci e di Brando, è possibile scrivere questa cosa con serenità, anche perché al di là dei fatti resta il film a testimoniare come “Ultimo Tango a Parigi” sia l'istrionica e viscerale messa in scena di Brando in "disfacimento" (un "disfacimento" che si completerà con "Apocalypse Now" )ma ancora "oggetto di desiderio", un desiderio di cui la pellicola è piena, al punto da fare passare in secondo ordine tutti i limiti che la stessa pellicola porta con sé.
Di quel film al momento della messa in scena non esisteva uno straccio di copione, diversamente da come è passato alla storia attraverso la narrazione, e la visione di tutti i film di Marlon Brando, la sua biografia, edita in Italia da Frassinelli, le cronache su di lui, e il libro che Truman Capote scrisse, sempre su di lui, lo compravano, al di là dei fatti.
Marlon Brando capitò, e bastò e avanzò per rappresentare quegli anni e la voglia di fuga dei giovani borghesi, un’attitudine nel film, la voglia di fuga, più che qualcosa di concreto, e infatti a parte Brando nessun attore interpellato accettò di girarlo.
Marlon Brando capitò "fresco" de “Il Padrino” e smanioso di sentirsi ancora un attor giovane e aitante.
E così si trasformò in un borghese insoddisfatto e dolente, un borghese a caccia di emozioni nuove per superare lo scacco matto del tempo.
Per Bernardo Bertolucci fu una fascinazione totale, era preso da Marlon Brando, un Marlon Brando consapevole di essere in caduta libera, e che aveva fisicamente bisogno di esserci sullo schermo per esistere.
Fu facile per lui esercitare il suo potere, sia in termini seduttivi, sia in termini pratici, e quel film che nessuno mai avrebbe potuto recitare allo stesso modo, diventò non solo famoso ma addirittura campione d'incassi.
Eppure “Ultimo tango a Parigi” è un film che la gran parte degli italiani ha visto grazie anche alle cassette che l'Unità, sotto la direzione di Walter Veltroni, allegava al quotidiano. È anche il film più “hollywoodiano” di Bernardo Bertolucci, molto tempo prima che concepisce “L’Ultimo Imperatore”, anche se mai ci si è soffermati su questo, semplicemente perché lo si guarda come se fosse un film “eretico”, e invece di “eretico” aveva ben poco.
Il film era la rappresentazione dell’egocentrismo intellettuale degli anni ’70 e del prepotente narcisismo dell'attore più consapevole della propria impronta cinematografica: Marlon Brando
A rivederlo oggi sembra il sequel di “Colazione da Tiffany”, non edulcorato, visto che il film tratto dall'omonimo romanzo di Truman Capote, e diretto da Blake Edwards, diventò altro dal libro, al punto che Truman Capote si rifiutò di firmarne la sceneggiatura.
Cosa ci disturba ancora di questo film, da renderne pure la colonna sonora, di Gato Barbieri, con le scene del film, su Youtube, vietata ai minori?
In coro, soprattutto le donne, diranno la scena del burro, e quella violenza, forse, non immaginata, fa gridare allo scandalo, ancora oggi.
Anche in questo caso quella scena fu un'idea di Brando, un modo per fare del film qualcosa di più che il diario di un uomo folle malvissuto. Del resto Stanley Kubrick con "Arancia meccanica" aveva fatto di peggio, e Brando era addentro a queste cose.
Poi serve anche capire che tutta la produzione cinematografica di Bernardo Bertolucci non è a favore delle donne, nell'accezione che oggi diamo a questa cosa, accezione che è riduttiva e sbagliata.
Oggi, Bernardo Bertolucci, e lo stesso "Ultimo tango a Parigi", sarebbero totalmente improponibili.
Che la Schneider abbia sofferto a vita per quella scena, e che fosse stata totalmente inconsapevole, mentre la scena veniva girata, è evidente, ma la sua "inconsapevolezza" è evidente in tutto il film, e da subito. Il resto lo fece la feroce censura, che oggi, e ancora più ieri, sarebbe insopportabile per una donna adulta figuriamoci per una diciannove, diciannovenne che per giunta aveva Marlon Brando come partner e protagonista assoluto.
Per questo “Ultimo tango a Parigi” è il film di Marlon Brando, della sua possanza scenica, la storia dell'attrazione assoluta che esercitò su Bernardo Bertolucci e non solo su di lui.
Rosaria Capacchione nel suo libro “L’oro della Camorra” ci descrive, all’inizio del libro, il guardaroba del boss, guardaroba nel quale di Brioni ( il celebre cappotto cammello di Marlon Brando, nel film, era di Brioni) c’era ogni cosa, compresi i calzini, a riprova di come quel film abbia camminato velocemente tra gli italiani e non solo, pure John Gotti fu ossessionato da quel cappotto, e sia entrato nel loro immaginario senza differenze di classe.
Volerlo ancora oggi vedere come un film di rottura è tutt'altro che utile, ci fa perdere di vista come il sogno erotico degli intellettuali borghesi italiani, classe sociale alla quale Bernardo Bertolucci apparteneva per nascita, abbia permeato gli italiani tutti (vedi la diffusione del film attraverdo l'Unità) quegli italiani che, ancora oggi, fanno difficoltà a riconoscere se stessi, anche e soprattutto attraverso un film così, film che li ritrae ancora innamorati di Parigi, e dell’uomo che non deve chiedere mai, come le cronache ci raccontano con dovizia quotidiana.
E forse ha ragione Goffredo Fofi quando scrive nel suo coccodrillo (a un mese dalla morte di Bernardo Bertolucci) su “L' Internazionale” del 18 dicembre del 2018, che per quanto riguarda “Ultimo tango, pur amando quel che era riuscito a tirar fuori dal grande Brando, la prevalenza del letterario sul sincero mi sembrò il risultato di un’astuzia velleitaria e insincera, culturalmente “colonizzata” (ricordo la reazione di Pasolini all’enorme successo di quel film e di “La storia” di Morante, dettata da una strana mescolanza di ira e di invidia: “Farò qualcosa di più forte, e di più scandaloso, e di più grande successo”, diceva, e fece Salò e scrisse Petrolio, un film e un romanzo agghiaccianti che ebbero una grande risonanza ma non un uguale esito commerciale)".
Non avrebbe potuto avere Pasolini lo stesso successo, semplicemente perché Marlon Brando era un totem di carne, e la carne vince anche sulle parole scritte in maniera esatta, e anche lui non capì fino in fondo quando quello con cui misurarsi era molto di più che un borghese come lui, Bertolucci, ma un attore, che era un dio quale Marlon Brando.
Un' impresa impossibile. 

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