Intervista
12.04.2023 - 11:23
Bernardo Casertano è noto presso il grande pubblico per avere partecipato a molte serie TV, ma soprattutto per essere uno dei protagonisti, insieme alla bella e brava Anna Valle e Giuseppe Zeno, della fiction "Luce dei tuoi occhi", fiction di Canale 5, che partirà oggi con la seconda serie, sempre sulle reti Mediaset.
Partiamo proprio da "Luce dei tuoi occhi", cosa ci può raccontare, senza spoilerare troppo?
«La cosa che ci tengo a sottolineare di questa fiction è il grande lavoro di armonizzazione che il regista, Fabrizio Costa, ha fatto con tutti noi. Il suo modo di seguirci sul set ci ha permesso di crescere professionalmente, così da farci maturare anche nei ruoli che ognuno di noi ricopre. Il nostro è un cast molto affiatato, composito, tra di noi si è creato un bellissimo clima, una cosa che il pubblico sicuramente avverte, anche perché siamo diventati amici fuori dal set.
Fabrizio Costa è stato aiuto regista di Pasolini, di Visconti, mi piace molto il suo modo di lavorare con noi, e tutto il bagaglio di ricordi e di professionalità che lo accompagna. Anna Valle non è solo bella, ma è anche una compagna di lavoro sensibile, come lo sono Giuseppe Zeno e Maria Rosaria Russo. Siamo persone vere, e cerchiamo di portare il nostro vissuto in questa fiction, fiction che racchiude più generi narrativi, dal melò, al noir, così da farci seguire in maniera più affettuosa dal pubblico».
La storia avrà un'evoluzione visto che la prima serie si è conclusa con tanti interrogativi?
«Il pubblico vedrà svilupparsi la trama, questo lo possiamo dire, e ci saranno momenti felici, momenti felici che non lasceranno l'amaro in bocca in chi ci ama».
Che uomo è Davide Fabris, il personaggio che interpreta in “Luce dei tuoi occhi”?
«È un uomo onesto, vero, acuto che in un certo senso fluidificherà la storia, un "medium" in pratica, ma il resto lo scopriranno gli spettatori seguendoci».
Fare l’ attore è stata per lei una scelta maturata da piccolo?
«Ho incominciato tardi, abbandonando un lavoro a tempo indeterminato, e con una laurea in Economia e Commercio in tasca. Avevo 27 anni quando ho deciso di cambiare vita, quella che facevo mi stava stretta, e per frequentare la scuola di recitazione, e pagarmi, da solo, tutti gli altri corsi ho fatto qualsiasi lavoro, anche le pulizie in un B&B. Di quel periodo ricordo la difficoltà che facevo a staccarmi dagli ospiti che andavano via. Lo partivo quel distacco, e questa forma di dolore, perché anche questa è una forma di dolore, l'ho rielaborata attraverso la recitazione, al punto da essere oggi, quel dolore, una forma di piacere, forma di piacere che osservo dentro di me».
Lei è un attore di teatro e si divide tra teatro, televisione, cinema, come fa?
«Il teatro è per me energia pura, e a teatro vado a sondare tutto ciò che l’animo umano nasconde, attraverso la messa in scena di autori complessi ma umani, come Camus, per esempio. Il pubblico risponde in maniera partecipe. Il teatro è il mio canale espressivo più importante. La Tv invece mi permette di incontrare tutto il pubblico, quello che aspetta davvero di vivere un attimo di pura evasione attraverso le nostre storie, storie che sono poi le loro».
Un romanzo popolare, in pratica, quello che voi alimentate nelle fiction, è difficile gestire questa bipolarità?
«La cultura, e la sua rappresentazione, devono tenere conto del fatto che ci sono gusti differenti, e che serve aprirsi al maggior numero di persone possibili. Il teatro è costruzione e superamento del dolore, le serie, le fiction servono a lenirlo il dolore, fanno da anestetico, e poter uscire dal palco, per poi entrare in TV, fa bene a me, e anche al pubblico».
La cultura di massa e il teatro non sono antagonisti, ci sta dicendo?
«No, anche se all'inizio scendere dal palco e andare sul set è un po’ difficile ma i set, televisivo e cinematografico, senza teatro si svuotano, diventano sterili sia per noi attori, sia per chi ci segue. E poi generalmente nelle fiction faccio la parte del buono, a teatro sono anche cattivo, e i cattivi sulla scena sono molto più complicati e avvincenti. Il lavoro che serve per farli amare è doppio, una cosa che torna utile, quando poi si deve essere buoni».
In che senso?
«Si lavora meglio sulle sfumature, perché la bontà di un personaggio è tutta una questione di sfumature, ed è lì che poi si entra nel cuore del grande pubblico».
Lei vive a Roma da anni ma è nato a Caserta, che rapporto ha con le due città?
«Roma è una città bellissima di cui mi innamoro ogni giorno. A Roma ci si ritrova a vivere dei momenti assolutamente perfetti, un esempio su tutti? Il tramonto, tramonto che a Roma ha una luce speciale. Poi c’è Napoli, dove ho studiato e ho vissuto, e con Napoli il rapporto è di sperdimento. Caserta è i miei genitori, che non ci sono più, i miei più cari amici, tre, il provincialismo, rinnegato, e da cui sono fuggito, non sapendo dove andare all'inizio. Come diceva Lello Arena a Massimo Troisi, in “Ricomincio da tre" citando Montaigne: “Chi parte, sa da che cosa fugge, ma non sa cosa cerca”. Poi, quando ho fatto pace con me stesso, Caserta è diventata la città con cui parlo a bassa voce».
Che fa quando non lavora?
«Mi piace guardare la vita degli altri, andare a cinema, a teatro. Trascino mia moglie a teatro, anche due volte a settimana, a volte mi maledice e a volte mi benedice, come è giusto che sia. Mi piace osservare, essere spettatore, senza che nessuno mi disturbi. Quella è per me una una vera pausa, perché mi piace il silenzio, mi piace regalare un po’ di silenzio».
Cosa si aspetta ancora dalla vita?
«Mi aspetto ancora tante cose dalla vita perché vivo, sempre, come mi accadeva di vivere da bambino, quando aspettavo i giorni di festa. Rimanevo in ansia, con la paura e la voglia di vivere la festa e di esserne stupito. Ecco, questo ancora mi aspetto dalla vita: la paura e la gioia dell'avvento, come sempre».
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