Società
01.05.2023 - 16:25
La quarta edizione dei Social Cohesion Days (Milano, 24-25-26 marzo 2023 ), iniziativa nazionale promossa dalla Fondazione Easycare dedicata a rafforzare la cultura della coesione sociale, ha ospitato un evento istituzionale dedicato al tema “Le regioni italiane alla sfida della coesione sociale”: un momento condiviso di riflessione sulle evidenze dell’ultimo rapporto dell’Osservatorio Internazionale per la Coesione e l’Inclusione Sociale (https://www.youtube.com/watch?v=kyK6IfE5rVY ). Ne parliamo con uno degli ospiti che hanno animato il confronto, Alberto Salsi, oggi vice presidente di Argis, Associazione di Ricerca per la Governance dell’Impresa Sociale, dopo una ventennale esperienza come direttore delle relazioni istituzionali di Ernst & Young.
Chiediamo in particolare a Salsi: qual è il contributo che, nell’attuale scenario socio-economico e giuridico, il Terzo settore è in grado di apportare alla coesione sociale?
«Il Terzo settore nasce da soggetti che si mettono insieme per rispondere ad un’esigenza, ad una fragilità percepita. La coesione è l’esito di questa reazione, che ha luogo all’interno della comunità; è espressione di questa comunità e del suo sforzo di soddisfare il fabbisogno o, quantomeno, di presidiarlo. La tensione verso il bene comune e il pluralismo sottesi a questo tipo di processo esprimono una caratteristica dei territori radicata fin dall’Alto Medioevo, nell’operato delle corporazioni, che tocca l’identità dei territori stessi. La coesione sociale è quindi storicamente, possiamo affermare, la cifra del Terzo settore. Tuttavia altri players del mercato e della società civile si candidano oggi ad assumere il ruolo di trazione tradizionalmente prerogativa del non profit, che è chiamato dunque a raccogliere ciò che si potrebbe definire una sfida di riposizionamento».
Quali sono, alla luce della sua esperienza, gli aspetti critici della dialettica fra profit e non profit su cui maggiormente si gioca la ‘partita’ del riposizionamento?
«Un aspetto chiave è senza dubbio lo stato ancora acerbo del rapporto fra non profit e impresa. Siamo di fronte a un sistema aziendale sempre più socialmente impegnato, dalla Corporate Social Resposibility alla Sustainability fino all’ESG [Environmental, Social and Governance, ndr], che sperimenta con gli ets dinamiche di interazione spesso scomposte e consistentemente market oriented; il rischio è il confinamento del Terzo settore ad un ruolo subalterno, strumentale al riposizionamento dell’impresa verso gli stakeholders».
Come inquadrerebbe, invece, la sfida di riposizionamento nella società civile?
«Le esperienze che creano coesione sociale non sono più esclusivamente appannaggio del non profit. Il tema rimanda alla questione dell’innovazione sociale quale asset strategico del paradigma evoluto della smart city, che rilegge la città intelligente in chiave umanistica cercando di riportare al centro l’idea di comunità. La smart city di seconda generazione declina, in effetti, l’innovazione tecnologica nell’ambito prioritario della social innovation, interpretata quale prodotto diffuso di molteplici attori e processi, a partire da quelli di rigenerazione urbana. In questo scenario l’interrogativo che si pone verte sul ruolo del Terzo settore quale possibile driver di innovazione, stretto fra i progetti tipicamente smart city, caratterizzati dalla presenza forte della componente tecnologica intesa come fattore abilitante e gestiti da partnerships pubblico-private, e le iniziative a carattere innovativo di eterogenee e spesso inedite aggregazioni informali e destrutturate di cittadini, il cui posizionamento rispetto alle policy locali resta tendenzialmente indefinito».
Se dunque, lato mercato, il non profit deve muovere verso la costruzione di una grammatica nuova e condivisa propedeutica ad un dialogo più strutturato con il sistema azienda, che non si esaurisca in una collaborazione spot efficacemente brandizzata, lato società civile il Terzo settore si trova a riscrivere il suo ruolo all’interno della “smart community” espressione della società liquida descritta da Bauman e di una progettualità, massicciamente ict-enabled, che rischia di rifletterne la fluidità e l’incapacità di orientare nel medio-lungo periodo un’azione collettiva eticamente orientata.
«Fondamentale in tutto ciò sarà la capacità del non profit di cogliere l’opportunità rappresentata dalla riforma che lo riguarda per recuperare il proprio protagonismo nella pratica propulsiva della coesione sociale, ferma restando l’importanza di una adeguata applicazione della normativa sotto il profilo della sua valorizzazione nella co-programmazione e nella co-progettazione».
Analogamente cruciale, aggiungiamo, sarà verosimilmente la capacità del Terzo settore di interpretare autenticamente l’innovazione come trasformazione profonda del paradigma economico e sociale e di creare le premesse per delineare una strategia trasformativa condivisa con gli altri stakeholders del territorio, a partire - come ha suggerito il direttore generale di Coopselios e Coordinatore del Comitato Promotore dei Social Cohesion Days Raul Cavalli nell’ambito dell’evento richiamato sopra - dalla sfida della valutazione dell’impatto sociale, che chiama in causa sia profit che non profit nella definizione di metriche e di obiettivi di medio-lungo periodo coerenti con una logica di cambiamento intenzionale, che deve abbracciare la comunità e il territorio.
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