Arte e spiritualità
03.05.2023 - 16:28
Credits Marco Cremascoli_Studio Albori-Francesca Riva-Giacomo Borella-Emanuele Almagioni
Sono passati 5 anni dalla prima partecipazione della Santa Sede alla Biennale di Architettura di Venezia e il Padiglione Vaticano torna, per la seconda volta, alla 18esima Mostra Internazionale di Architettura (Venezia, 20 maggio - 26 novembre). Il Padiglione, che sarà allestito negli spazi e nel giardino dell’abbazia benedettina di San Giorgio Maggiore, avrà per titolo “Amicizia Sociale: incontrarsi nel giardino”.
Due gli eventi che in questi 5 anni hanno cambiato il mondo: l’improvvisa epidemia che, oltre ad aver fatto toccare con mano il dramma della morte in solitudine, l’incertezza e la provvisorietà dell’esistenza, ha modificato il nostro modo di vivere. E la nuova costituzione apostolica Praedicate Evangelium, uno degli atti qualificanti l’attuale pontificato, promulgata nel 2022 da Papa Francesco che, riformando in toto la Curia romana, accorpa i precedenti Pontificio Consiglio della Cultura e Congregazione per l’Educazione Cattolica in un unico Dicastero per la Cultura e l’Educazione.
Il cardinale José Tolentino de Mendonça, prefetto del nuovo Dicastero per la Cultura e l’Educazione, in qualità di commissario del padiglione, e il curatore Roberto Cremascoli hanno incaricato il portoghese Álvaro Siza uno dei massimi architetti viventi che più volte si è dedicato al tema del sacro, insieme al collettivo italiano Studio Albori (Emanuele Almagioni, Giacomo Borella, Francesca Riva), specializzato in una architettura basata sui processi partecipativi e sulla sostenibilità ambientale.
Il tema del padiglione: “Amicizia Sociale: incontrarsi nel giardino”, ha sottolineato il card. de Mendonça, è stato scelto come veicolo per celebrare il decimo anniversario del Pontificato di Papa Francesco come un dono alla Chiesa e al mondo.
Nei suoi dieci anni di pontificato che cadono proprio nel 2023, afferma il cardinale José Tolentino de Mendonça, papa Francesco ha agito e parlato coinvolgendo tutti, senza dimenticare le periferie, i poveri e i rifugiati. Ciò costituisce già un'eredità per il futuro, attorno alla quale s’incontrano tutti coloro che desiderano un mondo più giusto e meno ferito dalle disuguaglianze sociali. Ciò è ben evidente nei due progetti di architettura in cui consiste il Padiglione della Santa Sede. L’architetto Álvaro Siza, che all’età di novant’anni si presenta come una riserva di giovinezza per il mondo, scommette su un’architettura che non si fissa tra quattro mura, ma si disloca. È un'architettura viva, figurale, «in uscita». Un intenso manifesto politico e poetico su cosa sia o possa diventare l’incontro tra gli esseri umani. Dall’altra parte; la proposta complementare dello Studio Albori, pone dentro l’architettura tutti i viventi, rendendoci tutti corresponsabili della nostra casa comune. Álvaro Siza e il collettivo di architetti dello Studio Albori, sono la garanzia di proposte magistrali e innovative che fanno riflettere sul contributo dell’architettura, presentandola come pratica laboratoriale di futuro e alla fine non lontana dagli interrogativi tipicamente spirituali.
I visitatori saranno invitati – queste le parole del Curatore del Padiglione, l’Architetto Roberto Cremascoli - «a prendersi cura del pianeta come ci prendiamo cura di noi stessi e a celebrare la cultura dell’incontro», che sono poi gli insegnamenti tratti dalle encicliche di Francesco Laudato si’ (2015) e Fratelli tutti (2020), che si trasformano nella guida al percorso espositivo del Padiglione Vaticano.
Queste due encicliche non solo ci aiutano a fare una diagnosi critica, precisa e sincera del presente, ma ci sfidano a sollevare lo sguardo, afferma il Card. de Mendonça, riscoprendo la capacità di sognare, con decisione, la profezia di un mondo migliore. Non a caso, tanti le considerano bussole di un futuro da costruire insieme.
Dall’incontro tra le encicliche del Papa con gli architetti invitati e i diversi contribuiti scientifici, nasceranno le installazioni che risponderanno al tema “Il Laboratorio del Futuro”, proposto dalla curatrice generale della XVIII Mostra internazionale di Architettura, Lesley Lokko che ha dichiarato: «Noi architetti abbiamo un’occasione unica per proporre idee ambiziose e creative che ci aiutino a immaginare un più equo e ottimistico futuro in comune»
Esaminiamo ora il progetto del Padiglione Vaticano. Il visitatore sarà accolto dall’installazione O encontro (L’incontro) di Álvaro Siza.
Una sequenza di figure si dispongono attraverso le sale del convento fino a raggiungere il giardino. Ci accolgono a braccia aperte, in ginocchio o ci salutano. Dialogano con lo spazio incolume del convento, dialogano tra di loro, dialogano con i visitatori. Con la loro gestualità ci conducono fino all’incontro nel giardino, il luogo della contemplazione.
Il primo atto (del processo) in giardino è quello di Studio Albori, insieme al gruppo di ortisti Michela Valerio, Agostino Vallonzer e Riccardo Bermani (Associazione culturale About), di fare ordine nel giardino, integrando le essenze esistenti con le nuove piantumazioni dell’orto, composto da varie sezioni di ortaggi (per consumo conventuale o esterno), erbe aromatiche e officinali, erbe spontanee e fiori eduli (per gli spazi contemplativi). La disposizione delle colture si identifica con un elemento della natura, sole, terra, aria, acqua associando la parte commestibile delle piante al proprio elemento: i frutti che hanno bisogno di sole (pomodori), le radici e tuberi che crescono sottoterra, i fiori e i profumi che si muovono nell’aria, le foglie sono ricche d’acqua. Laddove possibile, esiste una suddivisione dell’orto in aree geografiche per raccontare l’origine delle essenze: nella sezione frutti-sole sono presenti principalmente piante che vengono dalle Americhe e nella sezione radici-terra invece una predominanza di piante del bacino Mediterraneo (Europa meridionale, Medio Oriente, Vicino Oriente).
Il secondo atto (del processo) nel giardino trasformato in orto è eseguito su disegno e costruzione del collettivo di architetti Studio Albori (Emanuele Almagioni, Giacomo Borella, Francesca Riva) che, grazie allo sviluppo di una pratica multidisciplinare, frequenta la realtà di progetto coniugando le attività di architettura ai processi partecipativi ed ecologici. Attraverso il riuso del materiale tratto dalla rimozione di un’abitazione a Cortina d’Ampezzo, sono stati realizzati manufatti per ospitare il pollaio e altri che rendono possibile la sosta nell’orto, il riparo, l’incontro o semplicemente la contemplazione. Sono le costruzioni di un chiosco con pergola (limonaia), un parasole con sedute, il deposito dei semi con pergola e riparo, una serra.
Nel testo di Mirko Zardini, responsabile del progetto scientifico di Social Friendship: meeting in the garden, leggiamo: “Pensare il mondo come ambiente domestico”, suggerisce ad esempio Ina Praetorious, per sfuggire all’idea di una realtà intesa solo come mercato, e rivalutare quel lavoro domestico per secoli squalificato, ponendo nello stesso tempo fine all’idea patriarcale che lo sottende. In un momento, e in un’occasione come la Biennale di Architettura di Venezia, in cui la presenza dell’architettura è spesso legata più alle parole che ai fatti, si è preferito proporre alcune azioni modeste, avviare dei processi, presentare dei fatti concreti come coltivare un orto, riutilizzare dei materiali, creare un luogo per delle conversazioni. Non un proliferare di parole o attività, ma un luogo di pausa e di quiete, di silenzio, dove riflettere su come, e da dove, ricominciare”.
Nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, che è stata una sorta di manifesto programmatico agli inizi del suo ministero petrino (24 novembre 2013) Papa Francesco dice: «Bisogna avere il coraggio di trovare i nuovi segni, i nuovi simboli, una nuova carne per la trasmissione della Parola, le diverse forme di bellezza che si manifestano in vari ambiti culturali, comprese quelle modalità non convenzionali di bellezza che possono essere poco significative per gli evangelizzatori, ma che sono diventate particolarmente attraenti per gli altri».
L’incontro tra fede, arte e architettura continua, mondi che nei secoli passati erano quasi sovrapponibili e che dal secolo scorso erano divenuti reciprocamente estranei hanno ripreso a dialogare. Il progetto del padiglione ci riporta alla mente i molti Conventi presenti in Basilicata, ristrutturati e ancora non fruibili, con i loro giardini e orti storici abbandonati. L’auspicio, in vista del Giubileo 2025, è vedere, grazie a questo nuovo dialogo, i nostri conventi “vivi”, “segni di una nuova rinascita”, luoghi di dialogo e fucine di idee.
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