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Sergio Marchionne e il compiuto sogno americano dell'auto del futuro

Morte Marchionne, Spera (Ugl): «Il mondo perde un importante pezzo di storia»

La Fiat è la casa degli italiani da quando è stata fondata. Qualunque ricostruzione, della storia di questo paese, che non tenga conto della posizione egemone e totalizzante della Fiat, ci impedisce di comprendere sia l’attuale situazione politica, sia la parabola professionale e umana di Sergio Marchionne. Ci sono sei figure diversissime tra loro, figure che, pur camminando a modo loro, sono strettamente legate alla Fiat. Queste figure ne hanno condizionato il destino e Sergio Marchionne è stata la persona che ha raccolto il loro lavoro sprovincializzando per sempre la Fiat, gli Agnelli e anche gli italiani. Le prime due figure sono di donna: Susanna Agnelli e Pamela Harriman, le altre quattro sono figure maschili e prendono il nome di Goffredo Fofi, Gianni Agnelli, Cesare Romiti e Sergio Marchionne, anche se l’Avvocato resta sullo sfondo, con la sua noia, come sullo sfondo restano i partiti pronti a difendere un’idea (vuota) di sviluppo, figlia del sogno americano, e dell’onda lunghissima, per l’Italia, del piano Marshall. L’Italia in cui viviamo ha ricevuto questo impianto, impianto né giusto, né sbagliato, se mai coerente con quel sogno, volto a far uscire il paese da una dimensione striminzita e poco aperta al mondo, e qui che si sono incontrati gli Agnelli e la politica in questo paese.
Susanna Agnelli attraverso il suo libro più famoso: “Vestivano alla marinara”, ci ha raccontato la storia di una famiglia italiana, provinciale come tante, ma ricca e distante dal mondo degli altri. Una famiglia che è diventata il simbolo del paese perché quella famiglia produceva auto, simbolo del progresso, una cosa che Susanna, raccontandoci di sé e del suo mondo, rivela con spietata lucidità. Pamela Harriman nella biografia, autorizzata, scritta dal Christopher Ogden dal titolo “Life of the Party: the Biography of Pamela Digby Churchill Hayward Harriman”, ci racconta della sua storia, tutt’altro che superficiale, con Gianni Agnelli, ma anche dell’Italia, e degli Agnelli tutti. Pamela Harriman fu ambasciatrice americana a Parigi, dove morì, durante l’amministrazione Clinton, e fu il lasciapassare per l'Avvocato per il mondo. Invisa alla famiglia, troppo moderna, restò, forse, l’unica donna amata da Agnelli, che andò al suo funerale e la salutò con la mano sul petto, cosa che per un uomo che riteneva l'amore un affare da cameriere era un attestato di riconoscimento altissimo. Questi passaggi sono necessari per capire quale grande rebus siano la Fiat, gli Agnelli, e l’importanza di alcuni dei suoi Ad, Cesare Romiti e Sergio Marchionne su tutti, Valletta fu il tutore dell'Avvocato mai un visionario ed è per questo che in questo racconto non entra. Goffredo Fofi, uno dei pochissimi intellettuali italiani non a gettone, nel 1962, anno importante per Torino, che non solo diventò la capitale dell’auto ma si servi per questo dell’immigrazione di massa dal Sud, scrisse un libro inchiesta sull'argomento, dal titolo proprio: “L’immigrazione meridionale a Torino". Il libro doveva uscire per Einaudi, ma Einaudi si rifiutò di pubblicarlo. A Torino, la situazione era incandescente, e la Fiat aveva aiutato, economicamente, Giulio Einaudi, da sempre in rosso. L’indagine di Goffredo Fofi era in presa diretta, pensava a Jack London Goffredo Fofi mentre scriveva il libro, e pure alla sua esperienza sociologica con Danilo Dolci, a Partinico e a Palermo. Nessuno degli einaudiani lo difese, eppure il libro venne scritto nello studio di Venturini. L'unico a difenderlo fu Massimo Mila, e malgrado Goffredo Fofi ripetesse loro, nelle riunioni del mercoledì in via Biancamano, che il libro non veniva pubblicato solo per non fare un dispetto alla Fiat, non riuscì a spuntarla. Il libro uscì due anni dopo per Feltrinelli, dopo aver ricevuto anche il rifiuto di Laterza. Il libro fu poi recensito da Carlo Casalegno su “La Stampa”, il giornale di casa Agnelli, benché Goffredo Fofi riportasse anche i suoi giudizi negativi sugli Agnelli, ma Carlo Casalegno non era un giornalista qualunque, e Agnelli non era uno sciocco. Nonostante questo è a prezzo della pelle degli operai la Fiat era ancora finanziariamente inadatta per abbracciare il sogno americano ed è per questo che fu arruolato Cesare Romiti. Fu Enrico Cuccia ad imporlo, Agnelli obbedì. Del resto era Enrico Cuccia a decidere le sorti delle imprese in Italia in quegli anni. La Fiat che si ritrovarono in dote gli eredi dell'Avvocato era una barca senza soldi, e senza auto di qualità, e l'Avvocato la consegnava agli eredi, chiavi in mano, con l’intento che la dismettessero. Sergio Marchionne chiamato dagli eredi a fare questo, con grande competenza e abilità, gli diede la struttura finanziaria necessaria per realizzare quel sogno americano da cui erano partiti gli Agnelli e l’Italia come paese, "smaterializzando" l'auto e facendola entrare nel flusso del mercato. Nel mentre gli Agnelli però avevano “americanizzato” gli italiani attraverso l’alimentazione, grazie alla Galbani e poi alla Danone, gli avevano insegnato a vestirsi, grazie alla Rinascente e all’UPIM, gli avevano insegnato a leggere, grazie alle testate giornalistiche e alle case editrici nelle quali partecipavano, e avevano reso la loro squadra di calcio, la Juventus, una squadra conosciuta in tutto il mondo. Praticamente, pur con tutte le luci e le ombre lunghissime e spettrali che da sempre hanno tratteggiato la storia del nostro paese e la storia della Fiat, gli Agnelli avevano dato all’Italia un’altra impronta. Se questa impronta, poi, si è incancrenita la colpa più grande è stata del conservatorismo e dei politici, incapaci di affiancare costruttivamente l’ascesa e la nascita di un capitalismo moderno, perché mai sprovincializzati e succubi della polvere d’oro che la Fiat spargeva in ogni dove, a piene mani. La classe intellettuale invece preferì abbracciare la fede nel populismo, e nell'aderenza ad un’idea del paese che mai ha guardato ai soldi in maniera propulsiva e utile, in un’ottica di miglioramento per tutti, ottica che era anche di Marx. Adesso ci resta un’azienda distante per davvero dal paese, come lo è sempre stata, ma proiettata nel mondo, un merito di Sergio Marchionne, a cui è necessario dare atto, e ci rimane anche una canzone di Lucio Dalla, un altro grande visionario, e con loro le auto del futuro, un futuro che è ancora tutto da costruire ma senza che il passato lo mini.

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