Massoneria
13.12.2023 - 15:03
Il dottor Giuliano Mignini è un magistrato a riposo, già sostituto procuratore presso la procura della repubblica di Perugia, poi presso la procura generale dello stesso distretto di Corte d’appello. Alla Commissione sui rapporti massoneria deviata e mafie ha dato un prezioso contributo di studio e analisi del fenomeno con particolare riferimento al centro Italia. Nella città di Perugia sono presenti una ventina di logge massoniche, da quelle più importanti a quelle dette di “massoneria di frangia”, ovvero senza un collegamento. Queste, negli ani ottanta, nel periodo della morte del dottor Francesco Narducci, avevano trovato il loro punto di riferimento nel medico Francesco Brunelli, personaggio di spicco nella città. La morte di Narducci scosse tutta la città e si aprirono delle indagini a partire dalle telefonate registrate da un’estetista di Foligno, Rossella Corazzin, in quanto due personaggi che affermavano di appartenere ad una setta satanica, la insultavano e minacciavano, con frasi tipo: “Ti faremo fare la fine di Pacciani!”, e successivamente cominciarono richiami alla figura di Narducci. Il magistrato ereditò questo provvedimento da una sua collega agli inizi del nuovo millennio, da subito iniziò a notare alcune anomalie sul caso Narducci, che per giunta aveva frequentato la sua stessa scuola. Innanzitutto, non era stata eseguita l’autopsia del cadavere, nessun rilievo fotografico, nessuna visita esterna del corpo, il quale non venne nemmeno portato nell’obitorio, nonostante alcune persone dichiararono di aver notato segni di percosse e lesioni su di esso. Appena il magistrato diede notizia dell’indagine alla stampa, gli venne imposto di archiviare il procedimento su richiesta dei genitori e fratelli del medico. Ma il dottor Magnini dispose di analizzare il corpo di nuovo, affidando l’incarico al medico legale Giovanni Pierucci di Pavia, il quale riferì subito le sue perplessità. Il medico notò la frattura vistosa del corno superiore sinistro della cartilagine tiroidea, Narducci era morto di strangolamento e non di annegamento. Ma la cosa più eclatante è che alla riapertura del feretro nel giugno del 2002, il cadavere non era quello di Narducci. «Il dottor Magnini non ebbe difficoltà a riconoscere il suo vecchio compagno di scuola per la sua conformazione particolarmente minuta e per la magrezza che lo caratterizzava. Il cadavere, per lo più al di sotto dei pantaloni, “indossava un telo o un grembiule, di un certo spessore, con dei disegni in forma di pentagramma”, un indumento comunque che non sembrava avere alcuna funzione pratica. Uno degli avvocati della famiglia Narducci, presente all’emulazione, si lasciò sfuggire un commento, colto dall’attento dottor Mignini, in cui alludeva ad “una pratica massonica”. Precisa a tal punto l’audito che in effetti questa “voce dal sen fuggita” dal legale faceva il paio con la circostanza, nota al magistrato, che sia il giovane medico morto, sia il padre, il suocero del morto, il suocero del fratello e “molti altri personaggi, anche quelli fiorentini” erano tutti aderenti al Grande Oriente d’Italia. Peraltro, addirittura gli constava che il professor Ugo Narducci, padre del defunto, apparteneva alla medesima loggia “Bruno Bellucci”, in cui era iscritto il suocero del defunto, loggia ben nota e potente in cui era iscritto anche il rettore dell’Università degli studi di Perugia, nonché il sindaco della città (Sergio Casoli), senatore della Repubblica ed ex magistrato.
Il dato dirompente di questo accertamento autoptico fu il fatto che emerse una situazione totalmente inaspettata, che determinò il sorgere della questione del cosiddetto “doppio cadavere”. In ragione, infatti, delle differenze riscontrate tra il cadavere ripescato dal lago Trasimeno in data 13 ottobre 1985 e quello oggetto di riesumazione sottoposto agli accertamenti del Prof. Pierucci, si evidenziava che non poteva esservi identità tra le due salme» (Commissione Parlamentare d’inchiesta sulle mafie. Rapporti tra la criminalità organizzata e logge massoniche, n.37, p. 23). Il corpo di Nardini era alto 1,82 m, quello ritrovato di circa 20 centimetri in meno, dalle indagini risultò che era il corpo di un messicano morto per omicidio. Le pompe funebri che si occuparono di vestire il corpo rinvenuto dal fiume non avevano posto nel feretro nessun telo. Il telo massonico ritrovato invece sul corpo riesumato era un segno evidente, secondo M. Introvigne, di ritualità massonica arcaicizzante, simbolo di una funzione punitiva, il soggetto era stato degradato.
Le indagini di Mignini proseguirono in concomitanza con la procura di Firenze che si occupava del “mostro di Firenze”, i quanto Narducci, probabilmente, frequentava quei luoghi. Successivamente accaddero degli episodi che portarono alla rottura delle due indagini, in quanto a Mignini a al dirigente della Polizia di Stato, dott. Michele Guttari, vennero contestate alcune modalità di conduzione delle indagini. Solo dopo molti anni Mignini venne assolto con una pronuncia piena di assoluzione del Consiglio Superiore della Magistratura del 20-3-2017. L’indagine su Nardini venne archiviata.
Magnini conclude: «Ci furono diversi personaggi legati al Grande Oriente che offrirono il proprio contributo alle indagini, tra tutti, il professor Bruno Bellucci, personaggio di elevatissima dignità massonica, anche membro della loggia P2, che era il testimone di nozze della moglie di F. Narducci. Oltre a dare un notevole apporto all’inchiesta, segnalò all’audito come la vicenda fosse di continuo dibattito nei circuiti massonici e come non pochi fratelli ritenessero che un atteggiamento di chiusura e di ostilità era assolutamente controproducente e rischiava di danneggiare l’intera associazione. (…).
Sollecitato dai commissari, l’audito ha fornito ulteriori elementi sulla cosiddetta “massoneria di frangia” presente nel territorio di Perugia all’epoca in cui il medesimo svolgeva le funzioni di magistrato. In effetti il capoluogo umbro è crocevia di nuovi movimenti magici, quali Rosacroce e la Chiesa agnostica. Ricorda che uno dei maggiori esponenti della massoneria, l’avvocato Giacomo Borrione, da lui conosciuto personalmente, apparteneva a una loggia massonica di tipo egizio, ma era anche “vescovo” della Chiesa agnostica. Inoltre, rammenta che il dottor Francesco Brunelli, già citato nel corso dell’audizione, era un personaggio inserito nel “martinismo”.
In sostanza, l’audito ritiene possibile che tutti questi soggetti che gravitavano e gravitano nei vari movimenti e comunità della “massoneria di frangia” fossero in linea di massima anche affiliati a una loggia regolare e che poi insieme ad altri “danno vita a delle converticole di tipo deviato, che non si riconoscono più quasi nella regolarità massonica d’origine”» (Commissione Parlamentare d’inchiesta sulle mafie. Rapporti tra la criminalità organizzata e logge massoniche, n.37, p. 26).
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